Per Giorgio Spaziani testa, presidente di Confedilizia, il blocco degli sfratti non è altro che una norma “salva-ladri”. Il numero uno della storica associazione dei proprietari immobiliari vicina ad alcuni parlamentari di centrodestra, che da mesi si batte per riattivare le esecuzioni degli sfratti e rilasci coatti degli immobili, lo ha scritto su Twitter in vista del voto parlamentare sul decreto Milleproroghe che ha prorogato lo stop di sei mesi. Eppure quella decisione “è una misura di tutela della salute pubblica che ha un diretto collegamento con la pandemia”, dice al fattoquotidiano.it Massimo Pasquini, segretario nazionale dell’Unione Inquilini. Perché è un fatto che chi vive in una situazione di precarietà abitativa, perché per esempio non può più pagare l’affitto dopo aver perso il lavoro, vive anche una condizione di precarietà sanitaria e in generale condizioni di vita che ne influenzano la salute. A provarlo ci sono i dati pubblicati negli Stati Uniti da ricercatori dell’Università della California, della Johns Hopkins, della Boston University e della Wake Forest University School of Law: una loro ricerca mostra come la revoca delle moratorie statali e il proseguimento dei procedimenti di sfratto abbiano causato fino a 433.700 casi in più e 10.700 decessi aggiuntivi tra marzo e settembre. Intanto il 20 gennaio il Parlamento europeo è chiamato a votare una relazione “sull’accesso a un alloggio dignitoso e a prezzi abbordabili per tutti”: ne emerge che una persona su dieci nel vecchio continente spende più del 40% del suo reddito per la casa.

Lo studio Usa sul legame sfratti-contagi – Lo studio ha incluso 44 stati degli Usa che hanno istituito moratorie di sfratto tra la primavera e l’autunno. In 27 stati le moratorie sono state ritirate ed è emerso che a dieci settimane dallo “sblocco” l’incidenza del Covid-19 era 1,6 volte superiore rispetto a quella registrata dove non era stata presa quella decisione. Aumentata anche la mortalità, con picchi 5,4 a 1 rispetto agli Stati che avevano mantenuto il blocco, dopo 16 settimane. In Italia? Numeri non ne esistono, nemmeno ipotetici, ma è facile immaginare cosa sarebbe capitato, soprattutto nei mesi più duri, con l’impossibilità di gestire la cosiddetta “emergenza abitativa” (hotel, residence, centri di accoglienza, servizi sociali) e il passaggio da “casa a casa”. “Non ha alcun senso parlare di sospensione in relazione agli effetti economici”, continua Pasquini. “Se non ci fosse stata la pandemia, ma ‘solo’ una recessione, nessuno avrebbe imposto blocchi e proroghe proprio come avvenuto in passato”.

Ogni anno 50-60mila nuovi provvedimenti – Così, dopo lunga battaglia politica, nel Milleproroghe ora in fase di conversione il blocco stato esteso fino a giugno 2021. Perché ogni anno in Italia sono fra i 50 e i 60mila i nuovi provvedimenti di sfratto emessi dai tribunali. Sono state 25.930 nel 2019 le famiglie allontanate da casa. In totale 100.595 le richieste di esecuzione sfratto, meno di un terzo quelle realizzate. A cui vanno aggiunti i dati sui pignoramenti ed esecuzioni immobiliari per insolvenze su debiti e mutui. Una media di 230mila esecuzioni all’anno dal 2015 a oggi. Ora l’attività dei tribunali, con giudici e giuristi incerti su come comportarsi di fronte al Covid e su come trovare un equilibrio fra diritti dei proprietari (proprietà privata) e quelli degli inquilini (vita dignitosa, salute), prosegue. Prefetture e forze dell’ordine, invece, non lavorano per liberare le case in maniera forzata. “Un atto dovuto ed indispensabile – scrivono in un comunicato congiunto i sindacati inquilini Sunia, Sicet, Uniat e Unione Inquilini – in un momento che vede un maggior rigore di tutte le misure di restrizione per contrastare la pandemia e l’avvio della campagna di vaccinazione”.

La cedolare secca che avvantaggia i ricchi – “Alcuni sindacati, fra cui quello che promuove le occupazioni illegali – risponde a distanza il numero uno dei proprietari immobiliari – difendono la requisizione per 16 mesi degli immobili privati” perché “vogliono affossare l’affitto in Italia”. Ma Spaziani Testa se la prende anche con la Banca d’Italia. L’11 gennaio infatti Giacomo Ricotti, capo del Servizio di assistenza e consulenza fiscale di via Nazionale, è stato sentito in audizione dalle Commissioni riunite Finanze e Tesoro della Camera sulla riforma del sistema tributario e ha sottolineato anche alcuni problemi della fiscalità immobiliare. Ha parlato per esempio di come negli ultimi anni la “base imponibile dell’Irpef ha subito un fenomeno di erosione attraverso tre processi”. Tra cui quella che definisce “cedolarizzazione”, che riguarda anche “i canoni di abitazioni locate e, per i contratti conclusi nel 2019, anche dei negozi”. Il funzionario di Bankitalia si riferisce a un argomento dibattuto. Quello della cedolare secca sugli affitti, ora anche commerciali: si tratta della tassa piatta al 21% sui redditi da locazione (10% per chi applica un canone concordato, più basso) voluta nel 2011 dal governo Berlusconi e poi implementata e mantenuta da tutti i governi successivi. È piatta a prescindere dal numero di appartamenti che si affittano. Una vera e propria flat tax, più bassa delle aliquote marginali Irpef, nata con lo scopo di contrastare gli affitti in nero. Già finita nel mirino del ministero dell’Economia nel 2017 nel rapporto “Gli Immobili in Italia” che rileva come i maggiori benefici siano stati fruiti “dal decimo di popolazione relativamente più ricco”. E con i proventi fiscali attesi per i primi due anni che sono stati raggiunti solo nel 2018. “La Banca d’Italia chiede di tassare di più gli immobili – scrive ancora sui social il numero uno di Confedilizia –. Davvero non c’è limite al peggio. Ma anche loro si accorgeranno, un giorno, che i soldi degli altri, come diceva Margaret Thatcher, prima o poi finiscono”.

Politiche abitative al palo – Dibattito sulle tasse a parte, dal lato delle politiche abitative, anche da finanziare con fondi europei, regna la confusione: la proposta di Italia Viva per il Recovery Plan presentata a Conte prima di aprire la crisi ha recepito in parte l’idea di Federcasa – la federazione degli enti che gestiscono le case popolari – retta dal presidente Luca Talluri, l’ingegnere di Firenze che conosce Matteo Renzi da quando era sindaco e presidente della provincia in Toscana. Proposta che prevede uno stanziamento annuale, limitato per ora nell’importo, per recuperare qualche migliaio di alloggi pubblici all’anno nel tentativo di colmare il gap fra Italia e Paesi Ue sul numero di appartamenti a canone sociale. A breve dovrebbero arrivare al ministero delle Infrastrutture i progetti degli enti locali finanziabili dal “Piano di rinascita urbana” lanciato un anno fa dalla Ministra De Micheli. Il tema dell’edilizia a costi accessibili c’è anche nel programma varato nel 2019 per la genesi del governo giallo-rosso. Poche righe. Ancora meno quelle contenute nel piano Colao della scorsa primavera. L’attore più attivo è forse Cassa depositi e prestiti, fautrice e finanziatrice insieme alle fondazioni bancarie della strategia per l’housing sociale e dell’edilizia privata a canoni accessibili e in edilizia convenzionata, che ha la sua capitale a Milano con il ruolo di Fondazione Cariplo, Redo sgr e di alcune cooperative. Per il segretario nazionale dell’Unione Inquilini, “il Covid ha svelato il fallimento di politiche abitative fallimentari perché basate su liberalizzazioni dei canoni d’affitto e abbandono dell’edilizia pubblica a canone sociale. Ora abbiamo l’occasione per definire un piano pluriennale di edilizia residenziale pubblica finanziato dal Recovery Fund, dai fondi strutturali europei 2021-2027 e dai 970 milioni di euro di fondi ex Gescal inutilizzati da 23 anni e nella disponibilità di Cassa depositi e prestiti”. Infine, chiude il segretario dell’Unione Inquilini, “è necessario abbassare il livello degli affitti affrontando in maniera strutturale la questione, invece di chiedere nel mezzo di una pandemia da 20mila contagi e 500 morti al giorno che gli sfratti siano eseguiti mettendo a rischio la salute di migliaia di persone. Si può discutere di ristori per i proprietari ma, per ora, la proroga degli sfratti non si tocca”.

La relazione al parlamento Ue sull’accesso ad alloggi dignitosi a prezzi abbordabili – In Europa intanto si attende il 20 gennaio per una posizione politica che dovrà esprimere il Parlamento Ue. Va in votazione infatti una relazione “sull’accesso a un alloggio dignitoso e a prezzi abbordabili per tutti”, voluta dall’eurodeputata dei Verdi e del Gue Kim Van Sparrentank. Le centinaia di dati raccolti all’interno della relazione, provenienti da svariate fonti di ricerca, aprono uno squarcio sulle condizioni dell’abitare nell’Unione. Vi si legge che, secondo le stime di Eurofound, gli alloggi inadeguati costano alle economie dei Paesi comunitari 195 miliardi di euro all’anno; che, nel 2018, il 17,1% degli abitanti viveva in alloggi sovraffollati, il 28,5% dei giovani nella fascia di età 25-34 anni vive con i genitori. Con differenze importanti fra gli Stati membri, la relazione della sinistra europea fotografa anche il fatto che, fra 2010 e 2018, una persona su dieci nel vecchio continente ha speso più del 40% del suo reddito per l’alloggio. Si tratta della voce più elevata fra quelle per la sussistenza personale. Dentro questa categoria rientrano il 38% delle famiglie a rischio povertà. Ogni notte in Europa 700mila senza dimora devono dormire nei centri di accoglienza o in strada e in diverse città sta prendendo piede a livello sperimentale il modello “Housing First”, l’idea cioè che la casa non sia un punto di arrivo del recupero di una persona, ma il punto di partenza.

Tuttavia il contesto non vede frenare i prezzi delle abitazioni: aumentati in 22 Stati su 27 dopo la crisi Lehman Brothers generata proprio nel settore immobiliare. Un comparto che in Europa vale 20mila miliardi di euro solo sul residenziale. Numerose anche le proposte nella relazione che verrà votata dai parlamentari di Bruxelles. Tra le principali quelle di dare priorità, nei piani di ripresa degli Stati membri per il post Covid, alla ristrutturazione di almeno il 3% del parco immobiliare europeo all’anno, con particolare attenzione anche agli edifici ad alto rischio in caso di terremoto nelle regioni sismiche d’Europa, e di trovare soluzioni di finanziamento per le famiglie a basso reddito. Accogliendo il modello di “neutralità dei costi” degli alloggi (con affitti, costi dell’energia e imposte locali), in grado di unire gli obiettivi sociali con quelli climatici. Infine evitare gli sfratti dovuti ai grandi progetti di riqualificazione e rigenerazione immobiliareurbanisticoenergetica – si pensi in Italia alle norme nazionali e regionali sulla rigenerazione urbana o sull’Ecobonus – garantendo che gli aumenti dell’affitto siano pienamente compensati dai risparmi energetici.

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