Quando la retorica prende il sopravvento, è il segnale che i contenuti mancano. O, se si preferisce, quando la forma occupa la maggior parte degli spazi, significa che la sostanza vive un momento di forte crisi.

Lo vediamo in questi giorni con quello che sta accadendo nel mondo della scuola. Si moltiplicano le lettere aperte ai giornali di insegnanti che decidono (spesso mossi da intenzioni oneste e sincere) di mettere in campo quella che a me pare soltanto retorica. Una retorica con cui questi insegnanti si scusano letteralmente con gli studenti, perché la Scuola tutta li avrebbe abbandonati, lasciati soli, chiusi in casa e costretti a una forma di didattica (quella a distanza) impoverita, sterile se non dannosa.

Intendiamoci, l’ultimo punto è vero: la didattica a distanza rappresenta certamente una forma inadeguata e alienante di trasmissione del sapere. Soprattutto per ragioni “tecniche”, dovute al fatto che i ragazzi patiscono un eccesso di utilizzo del computer, una pigrizia fisica e mentale indotta dalla modalità a distanza.

Ma tutto il resto è retorica altamente diseducativa. Innanzitutto, gli insegnanti non devono scusarsi di nulla: non sono loro ad aver prodotto il Covid-19, né gli va attribuita responsabilità alcuna per le modalità di insegnamento a cui tutti (alunni ma anche docenti) sono costretti da un’emergenza sanitaria mondiale.

Gli stessi professori patiscono la Dad, e i loro sforzi e sacrifici per lavorare al meglio con questa modalità degradante sono i medesimi a cui sono costretti i ragazzi. Mi sento perfino di aggiungere che c’è molto narcisismo ed egocentrismo nell’atteggiamento di quegli insegnanti che, evidentemente colpiti da un delirio di centralità della propria figura, proclamano delle scuse in virtù di una situazione di cui loro stessi sono vittime come tutta la popolazione (nessuno escluso).

Nessuno ha lasciato soli i nostri ragazzi, di sicuro non per la Dad o in virtù del fatto che gli stessi non possono entrare nelle loro scuole. Se la logica fosse questa, allora si sarebbero lasciate sole tante persone: gli imprenditori in crisi, i commercianti che chiudono, le persone con difficoltà emotive e psicologiche. In generale tutti coloro che stanno patendo gli effetti dannosi e mortificanti di una pandemia che, se le parole hanno ancora un senso, colpisce per definizione tutta la popolazione.

Nella storia abbiamo avuto molteplici pandemie, dovute a cause divine o umane ma sicuramente misteriose, che nel giro di qualche anno hanno sempre tolto vite e provocato crisi economiche, sociali, psicologiche e perfino culturali (per la peste del 1347-1349 furono massacrati migliaia di ebrei individuati come colpevoli della diffusione del virus).

È grave che degli insegnanti non colgano il messaggio altamente diseducativo contenuto in quelle scuse sbagliate e retoriche che alcuni di loro hanno voluto pronunciare. Scusarsi è un atto fondamentale e significativo, che manifesta la capacità di una persona di fare i conti coi propri errori e le proprie responsabilità. Utilizzare queste scuse per ragioni immotivate e sbagliate è segno di tempi infausti e diseducativi.

Gli insegnanti, ma vorrei dire il mondo degli adulti in genere, se proprio decidono di compiere un atto del genere dovrebbero farlo quando quei ragazzi li lasciano soli sul serio, facendogli la presenza e l’insegnamento (appunto), ma anche rinunciando a quell’educazione (talvolta dura) con cui trasmettere loro (e perfino imporgli) il valore della lettura, della conoscenza e del dialogo, questo sì in presenza (e non da dietro uno schermo).

Chiediamoci, piuttosto, quanto il mondo degli adulti sia responsabile per il fatto che gli adolescenti vengono sempre più irretiti dagli schermi divertenti ma effimeri della realtà virtuale! Altro che Dad, perché i nostri ragazzi passano una media di otto ore al giorno a interagire con i propri smartphone o apparecchi digitali (questo ci dicono gli studi).

Scusiamoci, se proprio dobbiamo, per essere noi adulti i primi a trascurarli, ipnotizzati a nostra volta dalla galassia narcisistica ed egocentrica dei social network. O per il fatto che gli abbiamo preparato una società in cui conti soltanto nella misura in cui contribuisci al profitto economico e al progresso tecnologico, perché fuori da questo sei soltanto un profilo, un account, un numero (i deportati nei campi di sterminio lottarono con tutte le loro forze, soprattutto psicologiche, per non essere ridotti a un numero…).

Scusiamoci per questa società bloccata, in cui ricominciano a salire nella scala sociale soltanto i figli-di, dove le leggi dominanti sono quelle del più forte o del più ricco, perché abbiamo rinunciato al valore della Giustizia. Il guaio è che per scusarsi di queste cose bisognerebbe riprendere tutto un discorso culturalmente difficile, impegnativo, con pochi frutti al sole innanzitutto per gli insegnanti stessi (ce li ricordiamo, vero, i rischi corsi dal saggio nel mito della caverna in Platone?).

Molto più semplice abbandonarsi alla retorica buonista dell’insegnante che pensa di fare bella figura scusandosi per qualcosa di cui non ha alcuna responsabilità…

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