Giustizia & Impunità

Ponte Morandi, nuova accusa della procura: “dolo” nella mancata sostituzione dei sensori per il monitoraggio del viadotto

I pm ora contestano ad alcuni indagati anche la “rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro”. La pena prevista dal codice penale per l’ipotesi aggravata – “se dal fatto deriva un disastro o un infortunio” – va dai tre ai dieci anni. In caso di rinvio a giudizio, inoltre, il processo si svolgerebbe di fronte a tre giudici (e non più a uno solo)

C’è del “dolo” nella condotta di Autostrade che non riparò i sensori per il monitoraggio strutturale dinamico del ponte Morandi, tranciati nel 2015 durante alcuni lavori sulla carreggiata e mai sostituiti. È la convinzione della procura di Genova che ha portato alla nuova imputazione di “rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro” nei confronti di alcuni tra i 71 indagati per il disastro del 14 agosto 2018. La pena prevista dal codice penale per l’ipotesi aggravata – “se dal fatto deriva un disastro o un infortunio” – va dai tre ai dieci anni di reclusione. La contestazione dei pm Massimo Terrile e Walter Cotugno, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo D’Ovidio, si va ad aggiungere a quelle di crollo doloso, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso, omicidio colposo plurimo e omissione d’atti d’ufficio. Per effetto di questa ipotesi di reato, di competenza collegiale, in caso di rinvio a giudizio il processo si svolgerà di fronte a tre giudici (e non più a uno solo).

Il tema dei sensori mancanti ha occupato anche la super-perizia depositata il 21 dicembre scorso, cuore del secondo incidente probatorio sulle cause del crollo. Secondo i quattro ingegneri incaricati dal gip, “il sistema di monitoraggio di tipo statico” in uso dopo il 2015 “era solo formalmente conforme alla normativa vigente e alla migliore pratica”, perché “la bassa numerosità dei sensori e l’assenza dell’interpretazione strutturale delle letture, in funzione delle criticità da monitorare, ha reso inefficace e potenzialmente fuorviante il sistema”. Nonostante ciò, la concessionaria “non ha dato dato seguito alle raccomandazioni del Cesi (Centro italiano di elettrotecnica sperimentale, ndr) per l’installazione di un sistema di monitoraggio dinamico permanente, con la individuazione di specifici livelli di soglia.

Perciò il “catalogo del rischio” – il documento che certificava lo stato di manutenzione del ponte – veniva compilato sulla base di monitoraggi incompleti. E infatti, un anno prima della rottura – nel 2014 – i sensori tranciati avevano fornito dati tali da indurre l’Ufficio rischio di Autostrade a parlare proprio di “rischio crollo” nel documento, dizione poi modificata in “rischio perdita stabilità nel 2017”. Su richiesta di Aspi l’aggiornamento del sistema – a cura del Politecnico di Milano – era stato poi inserito nel progetto di retrofitting, il rinforzo dei piloni 9 e 10, deliberato nel 2017 per essere eseguito a ottobre del 2018. E mai eseguito, perché nel frattempo proprio la pila 9 cedette provocando 43 vittime. “A questo punto tutti gli elementi sembrano convergere nel sottolineare non solo la totale inadeguatezza del concessionario, ma anche la sua avidità nel voler prendere dallo Stato senza dare nulla in cambio, omettendo persino dolosamente tutte quelle azioni che lo avrebbero obbligato a fare manutenzioni”, fa sapere in una nota la senatrice ligure del M5S Elena Botto. “Ora la priorità è che queste persone vengano estromesse dalla gestione della cosa pubblica. Loro e il loro management”.