Chiusa l'inchiesta sulla morte di Lorenzo Zaratta, deceduto nel 2014. I pm Remo Epifani e Mariano Buccoliero accusano 9 dirigenti del siderurgico e sostengono che la vittima "assumeva le sostanze velenose durante il periodo in cui era allo stato fetale". La perizia dei consulenti della famiglia: "Numerosi corpi estranei” nel cervello tra cui ferro, acciaio, zinco e persino silicio e alluminio
Sono state le emissioni velenose dell’ex Ilva di Taranto a causare la morte del piccolo Lorenzo Zaratta, ucciso il 30 luglio 2014 da un tumore al cervello. Ne è convinta la procura di Taranto che ha chiuso l’inchiesta sulle cause della malattia di Lorenzo e ha iscritto nel registro degli indagati 9 dirigenti che guidavano la fabbrica negli anni della gestione Riva. L’accusa è di omicidio colposo: secondo i pubblici ministeri Remo Epifani e Mariano Buccoliero, i dirigenti ”consentivano la dispersione di polveri e sostanze nocive provenienti dalle lavorazioni delle Aree: Parchi Minerali, Cokerie, Agglomerato, Acciaierie e Gestione Rottami Ferrosi dello stabilimento siderurgico, omettendo l’adozione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali” e questo avrebbe causato “una grave malattia neurologica al piccolo Lorenzo Zaratta che assumeva le sostanze velenose durante il periodo in cui era allo stato fetale” che avrebbe così sviluppato una “malattia neoplastica che lo conduceva a morte”.
L’accusa è nata dagli studi che i consulenti dell’avvocato Leonardo La Porta, che assiste la famiglia di Lorenzo, hanno portato avanti. Nella loro relazione hanno infatti sostenuto che nel cervello di Lorenzo c’erano “numerosi corpi estranei” tra cui ferro, acciaio, zinco e persino silicio e alluminio. In quel documento, Antonietta Gatti, fisica e bioingegnera, autrice di una serie di analisi sui campioni biologici del piccolo Lorenzo, ha parlato di caso “emblematico” perché “trattandosi di un bambino la cui patologia tumorale si è resa manifesta nei primi mesi di vita quando le esposizioni ambientali sono molto limitate se non quasi nulle stante lo stile di vita caratteristico dell’età”.
Insomma un neonato non dovrebbe aver generato un malattia così grave. La causa, quindi, per Gatti, “è da ricercare nell’esposizione della madre durante la gravidanza”. La mamma di Lorenzo, durante nove mesi di attesa, lavorava infatti nel quartiere Tamburi, a pochi metri dalle ciminiere e dalle emissioni nocive dell’Ilva. “La possibile spiegazione – si legge in una relazione – della presenza di polveri d’acciaio” nel corpo di Lorenzo “è legata al fatto che, all’epoca della gravidanza, la madre viveva a Taranto e lavorava in una zona notoriamente soggetta a inquinamento di polveri da acciaieria” e di “numerose altre polveri come quelle di magnesio e di zinco” che risultano “compatibili con la stessa provenienza”. A questo bisogna aggiungere il quadro storico: diversi membri della famiglia dei genitori erano morti di tumore e il nonno materno di Lorenzo lavorava nello stabilimento siderurgico tarantino.
Per Maria Grazia Andreassi dell’Unità di epidemiologia molecolare e genetica dell’istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa e per Emilio Luca Antonio Gianicolo dell’Unità epidemiologia e statistica dell’istituto di Fisiologia Clinica del Cnr di Lecce (anche loro consulenti di difesa) “solo vivere e lavorare nel quartiere Tamburi di Taranto ha conferito, alla nascita, un rischio aumentato di sviluppare cancro, e in particolare cancro al cervello” che si è concretizzato nella “abnorme presenza di particelle potenzialmente tossiche nei tessuti”. Insomma vivere ai Tamburi fa aumentare il rischio di sviluppare tumori, eppure non sarebbe bastata questa “documentata predisposizione genetica a sviluppare e/o trasmettere un danno oncologico” a uccidere Lorenzo.
Gli esperti hanno stabilito che il “dito sul grilletto” è stato “premuto dai tossici ambientali”: senza di loro la “predisposizione genetica sarebbe rimasta caricata a salve per tutta la vita”.
“Abbiamo sempre confidato nella giustizia – ha commentato Mauro Zaratta, padre del piccolo Lorenzo – affinché il dolore che ha falciato le nostre vite non colpisca altre famiglie. Se qualcuno ha colpe dovrà pagare, ma non posso oggi non chiedermi dove fosse lo Stato in quegli anni. E dov’è oggi? Si cerca di tenere in vita uno stabilimento che ha diffuso, secondo gli esperti, malattie e morte: lo Stato ritorna addirittura nella gestione della fabbrica, quasi a dimostrare che la morte di Lorenzo e di tanti altri bambini non hanno insegnato nulla. È un copione triste, purtroppo già visto che ci fa sentire ancora una volta abbandonati a noi stessi”.