I calciatori non cinesi potranno guadagnare al massimo 3 milioni di euro lordi (1 milione e 750 mila netti): cifre lontane anni luce dal cachet di alcuni giocatori, come il brasiliano Osca che si gode la vita a Shanghai con 24 milioni di euro l'anno. La stretta non riguarda gli allenatori (Cannavaro resterà il tecnico italiano più pagato al mondo con 13,5 milioni). Una decisione dovuta al mancato miglioramento del movimento calcistico nazionale
La strada per l’El Dorado sarà presto chiusa al traffico. La stagione 2021 del campionato cinese, che dovrebbe avere inizio ufficialmente a fine febbraio, porterà con sé una grande novità. Il governo di Pechino ha imposto a tutti i suoi club il salary cap, ovvero il tetto salariale, che impedirà ai giocatori stranieri di guadagnare oltre i 3 milioni di euro lordi (1 milione e 750 mila netti) l’anno. Una stretta resa necessaria dalla crisi economica dovuta alla pandemia Covid, ma anche e soprattutto dalla volontà dei dirigenti cinesi di frenare le bolle speculative andate in scena nell’ultimo periodo per promuovere lo sviluppo sano e sostenibile del calcio professionistico. La spesa delle società di Super League (la massima serie calcistica) è circa dieci volte superiore a quella della Corea del Sud e tre volte superiore a quella del Giappone. Ma il processo di crescita della nazionale è in stallo da diverso tempo: l’ultimo risultato di rilievo è il secondo posto del 2004 in Coppa d’Asia, poi soltanto eliminazioni e mancate qualificazioni ai Mondiali. E anche adesso, nel cammino che porterà a Qatar 2022, la selezione di Li Tie si trova costretta a inseguire la capolista Siria, storicamente non tra le formazioni più dotate, che si sta rendendo protagonista di un autentico miracolo giocando le proprie gare casalinghe a Dubai, in esilio dal proprio paese.
Una svolta, quella del taglio stipendi, che porterà moltissimi calciatori nuovamente in Europa. C’è chi ha già visto scadere il proprio contratto faraonico da 15 milioni di euro come Pellè e chi, invece, come Oscar che dal 2017 si gode la vita a Shanghai e guida la classifica dei Paperoni con ben 24 milioni annui. Cifre nettamente in controtendenza se rapportate alla nostra Serie A. Tolto Cristiano Ronaldo, che non fa testo con i suoi 31 milioni, il resto dei colleghi più in quota non va oltre i 7/8 milioni netti l’anno. Un esempio calzante potrebbe essere quello di Ciro Immobile, Scarpa d’Oro in carica, che ad agosto ha firmato il prolungamento con la Lazio “accontentandosi” di 4 milioni a stagione fino al 2025.
In realtà le restrizioni in Cina erano già iniziate nel 2018 con l’introduzione della Luxury Tax, un provvedimento applicato da un ente governativo in stretto contatto con il presidente Xi Jinping e che avrebbe dovuto alzare l’asticella di qualità del campionato attirando soltanto i fuoriclasse. Praticamente una tassa del 100% sul costo di acquisto del cartellino del giocatore: lui ne vale 20, io ne spendo 40 perché i restanti 20 finiranno a un fondo destinato a sovvenzionare lo sviluppo del calcio cinese. Un’ipotesi ventilata a più riprese anche dal presidente dell’Uefa, Aleksander Ceferin, per limitare le violazioni del fair play finanziario e cercare di garantire il più possibile la parità economica tra i club europei. Misure, però, che alcune società cinesi hanno parzialmente aggirato, vedi il caso dell’attaccante congolese Cedric Bakambu che stando ai più informati avrebbe pagato di tasca propria la clausola rescissoria da 40 milioni al Villarreal per aggregarsi al Beijing Guoan.
Ora la Cina ha voglia di fare sul serio e la terra dei sogni sarà soltanto un lontano ricordo. Il capo della federcalcio locale, Chen Xuyuan, ha stabilito una serie di severe misure per punire le violazioni sul tetto degli ingaggi. Le società rischiano dai 6 ai 24 punti di penalizzazione e negli episodi più gravi persino la retrocessione con l’eventuale squalifica di due anni per i giocatori coinvolti. “Non importa quanto sia grande il club o quanto sia famoso il calciatore – ha avvertito – Seguiremo i regolamenti senza alcuna considerazione, non mettete alla prova la nostra determinazione”. Anche se in realtà qualcuno starebbe già cominciando a pensare a un modo alternativo per eludere questa nuova disposizione. Nessuna norma, al momento, vieta infatti l’acquisto in prestito secco del giocatore con il salario pagato dalla squadra di casa che avrebbe l’occasione di essere rimborsata dalle proprietà cinesi in altra moneta.
Non è possibile avere la certezza che il progetto finale, quello di valorizzare campionato e nazionale, vada in porto. Però una considerazione arriva quasi spontanea: che ne sarà dello spettacolo del torneo? Il trend dei tifosi allo stadio, che dal 2011 al 2018 è incrementato del 60%, ha subìto un calo del 3,1% nel 2019. Tralasciando l’anno della pandemia, c’è da chiedersi se la mancata esibizione delle stelle più luminose del calcio europeo non influisca negativamente sul prestigio e sulla reputazione della Chinese Super League. Di sicuro si potrà continuare a contare sugli allenatori. Da Fabio Cannavaro a Rafa Benitez, passando per l’ex ct della Croazia Slaven Bilic e l’ex terzino del Barça Giovanni van Bronckhorst: loro sono esonerati dal Salary Cap e così il Pallone d’Oro 2006 proseguirà l’avventura al Guangzhou confermandosi come il tecnico italiano più pagato al mondo con i suoi 13,5 milioni a stagione. L’altro cambiamento rilevante, sempre nell’ottica dell’annunciata austerità, sarà l’assenza degli sponsor da nomi e loghi delle società. Lo Jiangsu, ad esempio, ha rinunciato al marchio “Suning”, colosso dell’elettronica proprietario anche dell’Inter. La scelta ha già fatto montare la protesta di club e tifosi, l’obiettivo (ma è davvero realizzabile?) è quello di costruire squadre neutre e non vincolate dal punto di vista dell’immagine alla potenza di chi ha deciso di mettere tasca al proprio capitale. L’imposizione della Lega però potrebbe sortire l’effetto opposto, ossia l’affossamento di possibili investimenti milionari.