QUANDO LE MONTAGNE CANTANO - 2/3
No, la guerra del Vietnam non è quella che cantava Gianni Morandi in “C’era un ragazzo che come me”. “Han detto va’ nel Vietnam e spara ai Vietcong…tatatataaa”. Questo motivetto così orecchiabile è rimasto impresso nelle nostre menti e, confesso, che prima di iniziare a leggere questo libro – sapendo che sarebbe stato ambientato proprio in Vietnam – mi è subito venuto in mente. Ma mi è bastato leggere le prime righe di “Quando le montagne cantano” (Nord) perché quello scanzonato “tatataataaa” che avevo in testa perdesse subito vigore, ritmo, fino a trasformarsi in un silenzio totale. Il romanzo d’esordio della scrittrice vietnamita Quế Mai Nguyễn Phan è un autentico capolavoro. Un pungo nello stomaco, forte da togliere il fiato. L’abbraccio di cui avevamo bisogno in un momento di tristezza. La storia della famiglia Tràn attraversa tutto il Novecento, un’epopea epica delicata come un fiore di loto, ma carica di una sofferenza primordiale che, “ta, ta, ta, ta”, ti colpisce in rapida sequenza, vicenda dopo vicenda, come i colpi di una mitragliatrice. L’autrice riesce a farti sentire fisicamente il dolore provato da Dieu Lan, una donna per la quale l’aggettivo “forte” è riduttivo, matriarca in una società patriarcale, origine di un moto centripeto che tiene legata una famiglia dilaniata dalle atrocità della guerra. “Quando le montagne cantano” ripercorre pagina dopo pagina la storia del Vietnam, dall’occupazione francese fino quasi ai giorni nostri, rivelando l’impatto devastante che quegli eventi narrati con estrema sintesi nei libri di storia hanno avuto sulla famiglia dei Tran. C’è una donna che, a neanche quarant’anni, ha visto venir uccisi prima i genitori e poi il fratello, è stata costretta a fuggire lontano dal suo villaggio, abbandonare i suoi cinque figli per consentirgli di sopravvivere, ritrovarli per perderli di nuovo a causa della guerra, ritrovandosi lei stessa in fuga con l’unica nipote, Huong, a cui – per infondere un briciolo di fiducia – inizia a raccontare la storia della sua vita, segnata dalla funesta profezia fattale quando aveva solo otto anni da un guaritore del suo villaggio. E così, gli anni felici dell’infanzia nella tenuta di famiglia sotto l’occupazione francese all’inizio si trasformano ben presto in un ricordo lontano, minato dalle prime sofferenze durante le invasioni giapponesi e poi dalla carestia e dall’avvento dei comunisti, per i quali possedere terre era un crimine da pagare col sangue; dalla sua fuga disperata verso Hanoi senza cibo né denaro fino alla guerra. Una storia di una potenza disarmante e lirica insieme, trascinante e commovente (vi sarà difficile trattenere quella lacrima che farà capolino dai vostri occhi una volta letto il finale) che ci ricorda il valore dei legami familiari e gli ostacoli che possiamo superare per amore. Che ci fa immergere in una cultura lontana e sconosciuta, con una scrittura che intesse una tela fitta e preziosissima come seta, di una bellezza disarmante, capace di tratteggiare con descrizioni vivide e pittoresche le meraviglie incantate nella giungla attraversata dai soldati in piena guerra. Il linguaggio ricco di termini, citazioni e proverbi in lingua vietnamita è di una preziosità sublime, di una delicatezza commovente. L’autrice narra le vicende più intime e private dei personaggi dandogli al contempo un respiro universale. “Sono un essere umano, niente di ciò ch’è umano ritengo estraneo a me”, scriveva Terenzio nel lontano 165 a.C.: sono passati più di duemila anni ma non esistono parole più adatte per sintetizzare le emozioni che la lettura di questo romanzo ci lascia. Il Vietnam, la guerra, la fame, le credenze popolari e la carestia possono essere quanto di più lontano ci sia dal nostro mondo eppure la storia di Dieu Lan tocca l’anima. Voto (con il cuore): 10 e lode.