L'aumento delle varianti, che non sono inaspettate ovviamente in un virus, impone un tracciamento che gli scienziati chiedono ormai da settimane con strutture ad hoc. Di qui l’appello dell’Oms a raccogliere le sequenze genetiche
La variante brasiliana di Sars Cov 2 – isolata la prima volta in Giappone in quattro persone rientrate dal Brasile – “è una variante bella tosta, che ci tocca studiare e studiare parecchio. E chiudere i voli dal Brasile”, da parte del ministro della Salute Roberto Speranza, “è stata una decisione necessaria e sacrosanta”. Non nasconde timori per la nuova ‘versione’ del patogeno responsabile di Covid Massimo Galli, infettivologo dell’ospedale Sacco e dell’università degli Studi di Milano. “La variante brasiliana, che ha fatto già chiudere l’Inghilterra, è una cosa pesante purtroppo”, avverte l’esperto parlando con l’Adnkronos.
“Quello che è capitato a Manaus – sottolinea – mette la pietra tombale sulla strategia di chi ha in mente di far circolare il virus indisturbato per arrivare a un’immunità di gregge a furia di infezioni. A Manaus è accaduto invece che, lasciando girare il virus come gli pare, si è avuta sì una percentuale importante di gente che si è infettata e quindi immunizzata, ma non importante abbastanza per creare una vera barriera. È successo quindi che il virus ha sviluppato la mutazione giusta per tornare a essere in grado di colpire non solo quelli che non aveva ancora infettato, ma in qualche caso a quanto pare anche quelli che si erano già ammalati. È un elemento di notevole preoccupazione”, ammonisce l’esperto. La variante brasiliana mette a rischio l’efficacia dei vaccini? “Non lo sappiamo ancora”, risponde Galli: “La mutazione 501 alla fine pare di no, ma la 484k, che in un ceppo brasiliano si associa alla 501y, non sappiamo ancora se il vaccino la prende o non la prende e credo che verificarlo sarà il primo lavoro che faranno alla Pfizer. Le mutazioni virali emergono casualmente – ricorda lo specialista – ma se sono vantaggiose, la prole del primo virus che in cui compare “la mantiene” e questo sembra essere il caso. “Arrivasse mai una buona notizia”, chiosa il medico.
L’aumento delle varianti, che non sono inaspettate ovviamente in un virus, impone un tracciamento che gli scienziati chiedono ormai da settimane con strutture ad hoc. Di qui l’appello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) a raccogliere le sequenze genetiche delle nuove varianti in uno sforzo globale. Il Comitato dell’Oms per le emergenze ha esortato inoltre a mettere a punto un sistema standardizzato per la denominazione delle nuove varianti che eviti i riferimenti geografici. L’ultima arrivata, la variante brasiliana appunto, è stata isolata il 6 gennaio scorso dall’Istituto nazionale giapponese per le malattie infettive (NIID) ed è indicata con la sigla B.1.1.248. Nasce da 12 mutazioni concentrate sulla principale arma del virus, la proteina Spike, e fra queste mutazioni ce ne sono le due già note per rendere il virus più efficace nel contagiarsi, chiamate N501Y e E484K.
La prima variante a essere stata identificata è stata quella indicata con la sigla D614G e nata anche questa da mutazioni concentrare soprattutto sulla proteina Spike. La variante inglese, indicata con le sigle 20B/501YD1 oppure B.1.1.7, è caratterizzata da ben 23 mutazioni, 14 delle quali sono localizzate sulla proteina Spike. È comparsa in Gran Bretagna in settembre ed è stata resa nota a metà del dicembre scorso. Finora è stata identificata in 33 Paesi, compresa l’Italia con una ventina di casi. Anche in questo caso a preoccupare è il fatto che la mutazione rilevata nella posizione 501 della proteina Spike può rendere il virus più contagioso. È indicata con la sigla N501Y la variante del virus isolata in ottobre Sudafrica. Caratterizzata da una maggiore capacità di contagio e da una carica virale più alta, anche questa è legata a più mutazioni localizzate sulla proteina Spike. Altre mutazioni nella stessa proteina hanno portato alla variante N501T, che in Italia è stata isolata a Brescia e che potrebbe risalire ad agosto. Secondo ricerche recenti potrebbe essere una ‘sorella’ della variante inglese, dalla quale si sarebbe separata in marzo. Viene infine indicata con “cluster 5” la variante comparsa negli allevamenti di visoni in Danimarca e trasmessa all’uomo. In Italia sono inoltre diffuse le varianti 20A.EU1 e 20A.EU2, comparse in estate in Spagna e arrivate nel nostro Paese all’inizio dell’autunno.