Raccontare la propria condizione di persona con disabilità motoria grave con ironia e voglia di illustrare le tante difficoltà implacabili della malattia, ma anche le opportunità, ricchezze, riflessioni sulle proprie debolezze senza mai cadere nel pietismo e vittimismo. Questo è l’intento di Nicolò Cafagna, giornalista e anche blogger de ilfattoquotidiano.it, che nel libro intitolato “Diverso da chi? Storie a rotelle e ironia senza freni” parla della sua esistenza dalla particolare prospettiva della distrofia muscolare di Duchenne, che l’autore chiama “la francesina”. Cafagna sottolinea che la finalità del testo, prenotabile contattando la casa editrice Anankelab o scrivendo direttamente a ncafagna@yahoo.it, è quella di “abbattere sia i troppi tabù che aleggiano attorno al variegato mondo della disabilità sia le moltissime barriere invisibili che tengono distanziati le persone disabili dalla società”. Un testo divertente, ma che fa riflettere su temi delicati, dimostrando soprattutto che i termini come “normodotato” e “disabile” rappresentano solo due etichette sulle quali l’autore gioca senza mai nascondere la propria diversità.

Come nasce l’idea di scrivere il libro?
E’ la trasposizione, rivista, corretta e ampliata, della rubrica che curo per ‘Il Cittadino di Monza e Brianza’ più alcuni racconti tratti dal mio blog online de il Fatto Quotidiano. Mentre le ‘molle’ che mi hanno spinto a farne un libro arrivano dai lettori, sia conosciuti che sconosciuti che mi contattano sulla mia pagina Facebook. Alla fine mi sono convinto ed eccoci qui.

Quali sono le finalità?
L’obiettivo è abbattere quel muro invisibile che spesso separa la persona disabile da quella normodotata, poiché quest’ultima tende a tenere le distanze per paura e l’altra acuisce maggiormente il suo isolamento. Da qui l’idea di ironizzare e di farlo soprattutto sugli aspetti più drammatici: l’unico modo per avvicinare le persone e, allo stesso tempo, privarle di stereotipi e pregiudizi. Non a caso nel testo gioco spesso con le etichette “disabile” e “normodotato”, allo scopo di banalizzarle ridicolizzando le une e le altre. Così come con l’aggettivo “sofferente”, che conferisce al carrozzato un non so che di pietismo, che mi fa rabbrividire. Perché in fin dei conti i disabili non sono altro che persone, con il loro carattere, i loro sogni, aspettative… insomma apprezziamo anche noi la vita. Per questo ho voluto affrontare apertamente il tema del sesso, il tabù più imponente da abbattere.

A tal proposito nel tuo blog ti occupi spesso di sessualità, amore e affetto.
Perché è un argomento centrale della vita di tutti e, quindi, riguarda anche i disabili, benché qualcuno sia convinto che non abbiamo pulsioni sessuali. Quando non è così, ma è la condizione della patologia a ostacolare o impedirne la vita sociale stessa, di conseguenza manca un rapporto con l’altro sesso e l’impossibilità a toccarsi porta a un’immaturità di fondo. Nel mio caso l’avere una vita sociale piena mi ha aiutato, ma sono dovuto comunque ricorrere alla prostituzione per superare ostacoli pratici e psicologici. Del resto ho perso la verginità alla stessa età di Buttiglione, non so se mi spiego.

Che cosa si dovrebbe fare in Italia per migliorare il diritto all’affettività/sessualità per le persone con gravi disabilità?
Quello che accade in tutti i paesi avanzati, l’istituzione dell’assistente sessuale. Figura che si occupa del benessere psicofisico della persona disabile, accompagnandolo a scoprire il proprio corpo e quello dell’altro, a vivere quell’affettività e quell’emotività finora sopite. A tal proposito in Italia il comitato Love Giver presieduto da Max Ulivieri ha formato i primi operatori, ma continua a impattare contro il muro di gomma di un paese ancora troppo limitato dall’ipocrisia per portare a termine un disegno di legge.

Quali sono gli ostacoli maggiori che una persona con disabilità deve affrontare nella vita di tutti i giorni?
Nella quotidianità metterei l’aiuto alla persona, che dovrebbe essere garantito con un assistente per ogni disabile grave e in Italia è spesso disattesa; a seguire l’accessibilità, che nel libro chiamo inaccessibilità: per esempio in uno dei capitoli racconto dell’ufficio disabili del Comune di Monza ubicato in un palazzo con 5 gradini all’ingresso. Potrei continuare con la laboriosa burocrazia, di leggi disattese e così via. A monte io vedo il problema come culturale, per questo punto l’ironia contro le barriere invisibili: per darne la misura basti pensare alla pratica dell’occupare lo stallo riservato ai disabili perché più vicino all’ingresso.

Vede dei miglioramenti nell’inclusione delle persone disabili in Italia? Che cosa dovrebbero fare i disabili stessi per migliorare la loro condizione?
I maggiori progressi sinceramente li ho visti in campo tecnologico e, di conseguenza, si riflettono in una maggior integrazione: in futuro conquisteremo ulteriori spazi e daremo il via a quella che, sui social network, chiamo ironicamente la Rivoluzione disabile. Un suggerimento? Che la persona disabile si senta prima di tutto donna/uomo e poi disabile, perché a volte si resta imprigionati nella propria condizione quando bisognerebbe liberarsene: si è disabili nel fisico, ma liberi nella mente!

Sembra una banalità ma non lo è. Che cosa rappresenta la disabilità? Perché è importante parlare oggi di disabilità?
Direi buona parte della mia vita. È importante parlarne perché è un tema che deve avere la giusta considerazione e che non ha: del resto siamo un segmento della società, una frammento più fragile quindi da tutelare ancor di più. Inoltre ritengo che più siamo inseriti nella società più ne siamo una risorsa.

Durante la pandemia le persone con disabilità sono state tra coloro che hanno subito più carenze di servizi e assistenza personale a domicilio. Raccontaci in breve la tua esperienza. Come è andata la tua “francesina” ai tempi del Covid?
La nota dolente infatti è stata proprio la mancanza dell’assistente personale, a cui ho chiesto di non venire per una maggiore tutela, aggravando però la mole di lavoro ai miei congiunti, così come li chiamerebbe il premier Conte. Rispetto a rimanere a casa invece è cambiato poco perché dalla polmonite di due anni fa esco con il contagocce, tuttavia mi sono mancate le visite degli amici. Infine c’era la paura di ammalarsi, e come ho scritto nel libro: ‘Se il Coronavirus dovesse scorgermi da lontano e senza occhiali farebbe di me un necrologio’.

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