Se alla Camera la risoluzione a favore del premier ha incassato la fiducia con la maggioranza assoluta, a Palazzo Madama la questione è più complicata. Molto dipenderà anche dai senatori presenti, 315 gli eletti e 6 quelli a vita. Il totale fa 321 e quindi il quorum è a quota 161 voti. Il condizionale è d'obbligo, viste le possibile assenze. Senza considerare che al governo basta prendere un voto in più dei contrari per non essere sfiduciato
Si parte da 142, si arriva facilmente a 152, quindi con buone probabilità a 157/158. Poi diventa più complesso. Dopo aver superato, come annunciato, lo scoglio di Montecitorio, Giuseppe Conte e il resto del governo si concentrano su Palazzo Madama. E se alla Camera la risoluzione a favore del premier ha incassato la fiducia con la maggioranza assoluta, al Senato la questione è più complicata. Molto dipenderà anche dai senatori presenti, 315 gli eletti e 6 quelli a vita. Il totale fa 321 e quindi per avere la maggioranza assoluta occorrerebbero 161 voti. Il condizionale è d’obbligo: Giorgio Napolitano, per esempio, non partecipa da tempo ai lavori per motivi di salute. Frequenta poco Palazzo Madama anche un altro senatore a vita come Renzo Piano: assenze che chiaramente abbassano il quorum. Come quella di Sandro Biasotti, senatore di Forza Italia che non sarà in Aula per un “grave lutto”, come ha fatto sapere al partito di Silvio Berlusconi. Senza considerare che, col nuovo regolamento che non calcola gli astenuti tra i contrari, al governo basta prendere solo un voto in più rispetto ai No per non essere sfiduciato: passerebbe l’esame del Senato con una maggioranza relativa. Ipotesi, questa, che aprirebbe un dibattito politico ma che darebbe ulteriore tempo all’esecutivo per allargare la maggioranza. Ma andiamo con ordine.
I voti a favore: almeno 152 – Armandosi di pallottoliere, il presidente del consiglio può considerare come Sì sicuri al suo governo i 35 voti del Partito democratico e i 92 del Movimento 5 stelle. A questi vanno sommati i 6 di Liberi e Uguali (che fanno parte del gruppo Misto), 7/8 voti su 9 componenti del gruppo Autonomie: l’ottavo è Napolitano, la nona l’altra senatrice a vita Elena Cattaneo, il cui sostegno al governo è dato per molto probabile. C’è poi il voto di Liliana Segre, che ha annunciato il suo Sì a Gad Lerner sul Fatto Quotidiano: si parte quindi da 142. E qui si comincia ad attingere dal resto del gruppo Misto: in totale ha 29 membri, meno i sei di Leu e la Segre fanno 22. Dovrebbero votare, come annunciato, a favore del premier gli esponenti del Maie, il movimento degli italiani all’estero che si sono recentemente costituiti come componente a parte proprio in chiave pro-Conte: sono il sottosegretario Ricardo Merlo, Adriano Cario, Raffaele Fantetti, Saverio De Bonis e Maurizio Buccarella. Il Maie porta il totale dei voti a favore a 147. Ha poi annunciato il suo voto a favore della maggioranza al fattoquotidiano.it l’ex Pd Tommaso Cerno, che si esprimerà come Sandro Ruotolo, altro giornalista eletto dal centrosinistra. Vota la fiducia a Conte da qualche tempo, poi, Sandra Lonardo, cioè la moglie di Clemente Mastella. E siamo a 150, che diventano 152 con due senatori a vita dati probabilmente a favore. Mario Monti ha detto che sceglierà come votare solo dopo aver ascoltato il premier in aula, ma ha definito incomprensibile una crisi di governo: “Sono cose che inducono sempre alla diffidenza il resto dell’Europa e del mondo quando guardano l’Italia”. Parole che iscrivono l’ex presidente del consiglio nell’elenco dei “costruttori” . Una lista della quale fa parte anche Carlo Rubbia, spesso assente a Palazzo Madama ma che dovrebbe partecipare ai lavori per l’occasione.
I voti in dubbio, quelli contrari, il nodo dei renziani – Da qui in poi cominciano gli interrogativi. Nel Misto, infatti, ci sono una serie di ex 5 stelle che decideranno solo all’ultimo cosa fare. Sono Gregorio De Falco, Lelio Ciampolillo, Tiziana Drago, Luigi Di Marzio e Mario Michele Giarrusso. Sono cinque voti che porterebbero il totale dei Sì a Conte a quota 157. C’è poi un’altra ex grillina, Marinella Pacifico, che ha anticipato il suo No ma che rumors di corridoio danno per possibile sorpresa. In questo caso mancherebbero dunque tre/quattro senatori per il quorum (a seconda che sia fissato a 160 o 161): ma si tratta di voti che alla vigilia non ci sono ancora. Bisognerà capire, per esempio, come si comporteranno i 18 senatori di Italia viva. Riccardo Nencini, il socialista che ha consentito a Matteo Renzi di avere il suo gruppo autonomo a Palazzo Madama, è stato il primo a smarcarsi. “Chi ha maggiori responsabilità è chiamato ad esercitarle fuoriuscendo dalla logica dei duellanti e tenendo fermo il richiamo del Presidente della Repubblica. Noi siamo tra i costruttori”, ha detto. Cosa vuol dire? Che voterà a favore o si asterrà come hanno annunciato di fare gli altri renziani? E in Italia viva, alla fine, emergeranno altre posizioni in dissenso con la rottura, come si è ipotizzato nei giorni scorsi? In questo caso, oltre a Nencini, tra i renziani sono almeno quattro senatori dai quali potrebbe arrivare un aiuto alla maggioranza: Leonardo Grimani, Eugenio Comincini, Annamaria Parente, Vincenzo Carbone. Dovrebbero invece votare No tutti gli altri 7 esponenti del gruppo Misto: sono Emma Bonino, i tre di Cambiamo – Massimo Berruti, Gaetano Quagliariello e Paolo Romani – l’ex dem Matteo Richetti e gli ex M5s Gianluigi Paragone e Carlo Martelli. Si aggiungono ai voti dell’opposizione, cioè ai 19 senatori di Fratelli d’Italia, ai 63 della Lega e ai 54 di Forza Italia. Il totale dei voti “contro” farebbe 143. Anche lì è obbligatorio il condizionale: bisognerà capire, infatti, se tutti berlusconiani voteranno tutti contro o se invece qualcuno alla fine scegliera la via dell’astensione.
La maggioranza relativa e la variabile dell’astensione – Al momento, quindi, il governo può contare su 152 voti che possono crescere fino a 157/158: di più, allo stato, il fronte pro Conte sembra non potere andare. Un risultato che non garantisce la maggioranza assoluta ma solo quella relativa: tanto basta, in ogni caso, per evitare la sfiducia del governo. L’archivio è colmo di precedenti: di governi in carica pur senza il quorum è piena la Prima Repubblica. È chiaro, però, che in questa condizione l’esecutivo dovrebbe affrontare un problema politico: dovrebbe governare con numeri fragili e – sempre in teoria – facilmente battibili. Supererebbe, però, lo scoglio di Palazzo Madama, guadagnando tempo per puntellare i numeri più avanti. Evitare la sfiducia, in pratica, vorrebbe dire passare indenni dalla prima parte della crisi. Senza considerare che a Palazzo Madama c’è un altra variabile: il peso degli astenuti. Una cosa è avere la maggioranza relativa con 156 sì, 143 contrari e 18 astenuti (tutti di Italia viva). Un’altra è se il numero dei No dovesse abbassarsi, con un pezzo di opposizione che opterebbe per l’astensione.