La crisi del governo giallorosso arriva in Parlamento. Cinque giorni dopo lo strappo di Matteo Renzi in diretta tv e più di un mese dopo le prime minacce di Italia viva, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte affronta l’Aula di Montecitorio e il primo voto di fiducia. E se a preoccupare oggi non sono tanto i numeri, proprio le parole che il capo del governo pronuncerà davanti all’assemblea potrebbero fare la differenza per tutto quello che verrà dopo. La testa è infatti già al Senato dove andrà domani e dove i numeri, salvo l’arrivo di un gruppo nutrito di “responsabili”, potrebbero bastare per far passare la fiducia (è sufficiente che i Sì siano di più dei No), ma non per garantire una maggioranza “certa e definita” che convinca il Colle della stabilità del governo. Ecco perché, quello che il premier dirà oggi davanti ai deputati e davanti al Paese sarà decisivo per il futuro politico dell’alleanza Pd-M5s. Proprio come lo fu quando, un anno e cinque mesi fa, sfidò apertamente Matteo Salvini che gli sedeva accanto dopo lo strappo del Papeete. Solo che, a differenza di quel faccia a faccia pubblico, oggi l’intenzione di Conte non è più di trasformare il suo discorso in uno scontro con l’altro Matteo.

E’ cambiato il contesto politico, ma soprattutto l’umore del Paese che, nel pieno della pandemia Covid, a fatica potrebbe sopportare l’ennesima polemica di una politica piegata su se stessa. Per questo Conte si appellerà alla responsabilità (la parola più pronunciata nelle ultime ore), allo spirito da costruttori indicato da Sergio Mattarella e alle necessità del Paese (a partire dal Recovery fund) per i prossimi mesi. Sarà un patto di legislatura offerto al Parlamento, prima ancora di sapere chi potrebbe alla fine sedere a quel tavolo, un azzardo? Forse, ma l’unica strada per tenere in piedi un percorso che altrimenti non vedrebbe altra alternativa che la richiesta di tornare alle urne. Il clima nei partiti resta molto teso: i due alleati “conviventi” hanno blindato Conte e lavorano, è quello che assicurano, solo per riuscire a costruire una nuova maggioranza. Ma il weekend non ha portato buone notizie: le chiamate dei pontieri, i nuovi gruppi allo sbaraglio, i contatti sottotraccia e naturalmente i sospetti. Italia viva osserva, gioca sul filo dell’ambiguità e spera nello stallo per essere l’unica sponda possibile. Ma oggi, finalmente, la crisi arriva nelle Aule del Parlamento per un chiarimento alla luce del sole e, soprattutto, pienamente davanti agli occhi degli italiani. La preoccupazione che tutti condividono è fare in fretta, per togliersi di dosso l’accusa di perdere tempo con beghe di palazzo nel mezzo di un’emergenza sanitaria che ancora vede oltre 400 morti al giorno. E nessuno vuole trascinarsi quell’etichetta, specie se poi dovrà andarlo a spiegare agli elettori. Magari in una improbabile campagna elettorale che si sovrappone a quella per i vaccini.

I numeri alla Camera – Ma cosa rischia davvero oggi Conte? A Montecitorio la maggioranza assoluta è di 316 deputati, o meglio 315 se si toglie Pier Carlo Padoan, presidente designato di Unicredit, che ha lasciato la Camera senza essere sostituto. Oggi, salvo problemi dell’ultimo minuto, la maggioranza potrà contare sui 191 voti del Movimento Cinque Stelle, 92 del Pd e 12 di Leu. A questi bisogna aggiungere Michela Rostan (deputata di Iv che ieri ha annunciato il sì al governo) e Vito De Filippo, uscito da Italia viva per tornare nel Pd. A loro vanno aggiunti i deputati del gruppo Misto che hanno garantito la loro disponibilità: al momento, tra quelli che hanno sempre votato a favore della maggioranza si contano 3 del Maie-Italia23 e 11 dal Centro democratico di Bruno Tabacci (i cosiddetti “costruttori”). Si dà poi per molto probabile l’appoggio dell’ex ministro Lorenzo Fioramonti. In totale si raggiungerebbe la soglia di 316 Sì. Anche se in questa stima non vengono considerati molti ex M5s che siedono nel Misto e che potrebbero decidere di dare un segnale (una fra tutte Silvia Benedetti).

I numeri al Senato – Se il voto della Camera sarà fondamentale, dove Conte si gioca tutto è al Senato. E qui le trattative sono aperte. “Sono in silenzio stampa”: ha risposto il senatore ex M5s Michele Giarrusso a ilfattoquotidiano.it nelle scorse ore. In silenzio stampa quindi riflette se rivalutare il suo No? “Tutta Italia sta riflettendo”, taglia corto. L’ex M5s è solo una delle tante pedine di indecisi che potrebbero fare la differenza. Un altro è Tommaso Cerno, l’ex dem e in passato molto vicino a Matteo Renzi che, ha fatto sapere, chiede che intorno all’operazione dei responsabili sia fatta anche un’operazione culturale. E quindi, a chi lo ha sentito (e tra questi c’è anche il dem Michele Emiliano), non esclude che ci sia spazio per discutere del suo appoggio. “Ma non mi parlino di posti. Ero la sesta stella, vogliono farmi il settimo Mastella”, dice a ilfatto.it. Ai vertici del governo, Cerno ha mandato il suo discorso in Aula contro il Tav di agosto 2019, quello che fu uno dei primi atti distensivi nei confronti dei 5 stelle e che poi avrebbe portato al dialogo impossibile tra Pd e M5s. Ma poi Cerno ne rimase fuori e ora il suo Sì resterà incerto fino alla fine. Intanto dal fronte del neogruppo di costruttori Maie-Italia23 chiedono pazienza: “Noi abbiamo lanciato un segnale, ora stiamo a vedere”, è il messaggio.

Insomma le interlocuzioni procedono, anche se tutti temono che lo stallo significhi che poco altro si può fare. Le ultime ricostruzioni che arrivano da Palazzo Chigi insistono nel dire che le prospettive sono positive, puntando ad arrivare a quota almeno 156 senatori a favore. Qui la maggioranza assoluta è di 161 e al momento i numeri per arrivarci senza i 18 senatori renziani non ci sono. Le versioni sono diverse: tra chi dice che la quota si fermerà a 151 e chi invece sogna di poter fare molto di più. L’ultimo voto di fiducia, quello sulla Manovra, al Senato è passato con 156 sì. Allo stato attuale si contano i sì di M5s (92), Pd (35), del Maie-Italia 23 (4), di Leu (6) e delle Autonomie (8). Con in più il senatore a vita Mario Monti e i costruttori: Sandra Lonardo (ex FI, moglie di Mastella), gli ex M5s Maurizio Buccarella e Gregorio de Falco. E poi Sandro Ruotolo (Misto). Il conto include anche Riccardo Nencini (Psi, che ha dato il simbolo a Renzi per formazione del gruppo al Senato). Da aggiungere anche Liliana Segre, che ha annunciato il suo voto favorevole in un’intervista sul Fatto Quotidiano di oggi. Si potrebbe arrivare a 156 se fossero presenti anche gli altri senatori a vita Renzo Piano e Carlo Rubbia. Ma in tanti pensano che tra oggi e domani altri senatori potrebbero fare un passo avanti. Senza dimenticare l’Udc: per il momento hanno chiuso, ma a Palazzo Madama garantiscono che almeno la senatrice Paola Binetti non sia così convinta del No e ben volentieri riaprirebbe le discussioni.

Pd e M5s, la prova degli alleati tra sospetti e paure. E il fantasma di Italia viva – L’asse Pd-Movimento 5 stelle affronta la prova più dura. Superato l’ostacolo impensabile di riuscire a sedere allo stesso tavolo un anno e mezzo fa, mai avrebbero pensato di trovarsi dalla stessa parte della barricata a difendere il premier Giuseppe Conte. I messaggi dei vertici dem e M5s vanno tutti nella stessa direzione: Renzi è “inaffidabile“, mai più un progetto politico con lui. E’ credibile la chiusura? Il timore da entrambe le parti è che uno dei due possa tornare sui suoi passi in caso in cui mancassero i numeri. Una scelta che i 5 stelle a fatica potrebbero spiegare ai loro (ma non sarebbe la prima) e che spaccherebbe anche il Pd. “La verità è che il sogno di prosciugare Italia viva“, spiega a ilfattoquotidiano.it una fonte di maggioranza, “per il momento è solo un sogno. L’ottimismo che fanno trapelare sui numeri non è sostenuto dai fatti e rischiamo di trovarci senza opzioni concrete in mano”. Insomma l’operazione responsabili, come ormai è chiaro, è molto più complicata di quello che sembra.

Su questo Italia viva e i renziani intendono fare leva. L’intervista di Matteo Renzi a Lucia Annunziata su Rai3 non ha aiutato molto: il leader si è rimangiato il veto su Conte, ma nelle sue offerte di dialogo non è riuscito a nascondere le solite condizioni che già una volta hanno fatto saltare il banco (una fra tutte? Il Mes). La grande incognita è come si comporteranno i parlamentari Iv in Aula. Renzi dice che “non voteranno la fiducia”, il che può significare anche l’astensione, ovvero un aiuto al governo e un modo per non allinearsi alla destra. Ma fino a quando riuscirà a tenerli compatti? Nel weekend ha perso due deputati e per Maria Elena Boschi è “uno scenario migliore di quello che ci eravamo immaginati”. Presi uno per uno però, danno l’immagine di scalpitare. Uno fra tutti Eugenio Cominicini, senatore ex Pd (addirittura ex direzione nazionale), che dall’inizio della crisi predica “responsabilità”. Cosa significa nel concreto? Almeno l’astensione. Intanto ieri ha fatto un post su Facebook per esprimere la sua solidarietà personale a Conte: un negoziante a Milano ha affisso un cartello contro il premier, Comincini ha voluto dire pubblicamente che gli è vicino. “Solo con responsabilità possiamo sperare di vincere il Covid e superare questa crisi”, ha scritto. Un altro voto a favore? E’ un inizio.

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Zingaretti: “Porta aperta a Renzi? Solo a chi vota il governo”. Boccia ai parlamentari di Iv: “Stiano con il Pd, sono stati eletti con noi”

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