A poche ore dall’arresto di Alexei Navalny, tornato in patria nella sera del 17 gennaio dopo l’avvelenamento di 5 mesi fa, l’oppositore di Vladimir Putin è stato portato al secondo dipartimento del ministero dell’Interno nella città di Khimki, vicino Mosca. La prima udienza si è tenuta in una stazione di polizia alle porte della capitale, dando un preavviso di solo qualche minuto ai legali dell’oppositore russo e lasciando fuori molti giornalisti. Navalny rimarrà agli arresti almeno fino al 15 febbraio. Perché il rischio è che debba scontare tre anni e mezzo di carcere. Lui ha invitato i suoi sostenitori a non aver paura e scendere in piazza. La data dei cortei, diffusa dal collaboratore di Navalny Leonid Volkov, è il 23 gennaio. “Di che cosa ha più paura quest’orco che sta sul gasdotto (ovvero Vladimir Putin, ndr), quei ladri che stanno nel bunker? Che la gente scenda in piazza. Perché è il fattore che non può essere ignorato, è l’essenza della politica”, ha detto Navalny nel suo video-appello. E l’arresto è subito diventato un nuovo tassello di tensioni fra la Russia e l’Occidente.

“Perché l’udienza della Corte si sta tenendo in questura?”, è “una beffa della giustizia” e “un’illegalità di prim’ordine”, ha detto Navalny in un video. Poi un riferimento a Vladimir Putin: “Pare che un uomo anziano nel bunker (Putin, ndr) abbia così paura che ha palesemente fatto a pezzi il codice penale”. Il giudice gli ha imposto 30 giorni di detenzione. Oppositore di Putin, 44 anni, noto per le sue inchieste contro la corruzione, Navalny domenica sera è stato fermato al suo rientro per la prima volta in Russia dopo l’avvelenamento del 20 agosto, per il quale accusa il Cremlino. Quel giorno si era sentito male su un volo di ritorno a Mosca dalla città siberiana di Tomsk: l’aereo si era allora fermato a Omsk e da qui, dopo due giorni di braccio di ferro diplomatico, era stato trasferito in ospedale a Berlino.

La condanna internazionale è unanime: dall’Onu alla Nato; dall’Ue, per bocca della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, agli Usa, per bocca tanto del segretario di Stato uscente dell’amministrazione Trump, Mike Pompeo, quanto del prescelto da Joe Biden come consigliere per la sicurezza nazionale. Tutti chiedono, oltre che il rilascio immediato, “un’indagine accurata e indipendente sull’attacco alla vita di Alexei Navalny“, come ha detto von der Leyen. Ma la risposta di Mosca è secca: le reazioni dell’Occidente riflettono un tentativo di “distrarre l’attenzione dalla crisi del modello di sviluppo occidentale”, ha tagliato corto il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov.

La Russia si rifiuta di aprire un’indagine sul tentato omicidio di Navalny, sostenendo che manchino prove di avvelenamento: dalle analisi effettuate da laboratori di Germania, Francia e Svezia, nonché dall’Opac, risulta che l’attivista è stato esposto all’agente nervino di epoca sovietica Novichock, ma Mosca insiste che i medici che hanno curato Navalny in Siberia prima del trasferimento in Germania non hanno trovato nessuna traccia di veleno. Il motivo dell’arresto di Navalny è il seguente: con la sua permanenza fuori dalla Russia, cioè appunto a Berlino dove è stato portato ad agosto in coma dopo l’avvelenamento, avrebbe violato le condizioni di una pena sospesa del 2014 a tre anni e mezzo per appropriazione indebita, pena che ora il servizio penitenziario russo (Fsin) chiede alla Corte di convertire in detenzione effettiva. Il 2 febbraio si terrà una nuova udienza, per determinare se la pena sospesa di Navalny debba essere convertita realmente nel carcere. Intanto per questo sabato, 23 gennaio, un collaboratore dell’attivista, Leonid Volkov, ha convocato massicce proteste in tutto il Paese.

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