“Il voto di fiducia di Renata Polverini al governo Conte e il suo addio a Forza Italia? Fino a qualche mese fa francamente non lo avrei mai immaginato. Tuttavia negli ultimi tempi, anche nei suoi interventi in Aula, l’onorevole Polverini si è differenziata, anche perché in questa fase il centrodestra ha un’impronta molto netta che non è quella di Forza Italia, ma quella data da Lega e Fratelli d’Italia. Ormai Forza Italia è residuale”. Sono le parole pronunciate ai microfoni de “L’Italia s’è desta” su Radio Cusano Campus dal deputato di LeU Stefano Fassina, che aggiunge: “A me pare che Polverini abbia preso atto del fatto che l’impronta attuale del centrodestra non sia quella liberal-democratica di cui si vanta essere campione Berlusconi. E lei non è certamente l’unica a trovarsi in grande difficoltà in Forza Italia. C’è anche Renato Brunetta“.
Il parlamentare si sofferma sull’analisi della crisi di governo: “L’ho detto molto chiaramente anche ieri, intervenendo in Aula e rivolgendomi a Conte: non andava tutto bene prima della rottura determinatasi con la scelta di Italia Viva. Ma, nonostante tutti questi problemi, come il rapporto tra governo e Parlamento e tra lo stesso governo e le Regioni, ritengo che le questioni possano essere poste in modo costruttivo per trovare una soluzione, nella consapevolezza che questa è una maggioranza composita e nella consapevolezza dei rapporti di forza. In politica, oltre alle idee, contano i numeri. Se sei un partito che fuori dal Parlamento hai il 2% – continua – non puoi dettare l’agenda di governo, né puoi imporre le tue priorità minacciando di andartene. Non funziona così. C’è bisogno di trovare dei punti di equilibrio e Conte li ha trovati: è stato radicalmente cambiato il Recovery Plan attraverso un confronto collegiale. Ieri lo stesso Conte ha ribadito l’attribuzione della delega ai servizi segreti a una figura diversa da lui. C’erano le condizioni per ricostruire, se c’era la volontà di farlo“.
Fassina puntualizza: “In questa legislatura l’alternativa a questo governo non c’è, perché Conte è un punto di unione insostituibile tra M5s e Pd. Ovviamente l’unica alternativa a Conte è andare a elezioni, con tutto quello che comportano nella fase in cui siamo. Conte ha sicuramente commesso degli errori, che ha riconosciuto e corretto attraverso fatti concreti, a cominciare dal Recovery Plan. Con tutti i suoi limiti questa è una maggioranza che rappresenta gli interessi delle fasce popolari, in particolare attraverso il M5s, e se venisse meno, si avrebbero conseguenze assolutamente negative. Penso alla proposta di Letizia Moratti – spiega – che dovrebbe essere illuminata, moderata e liberal-democratica: la distribuzione dei vaccini va fatta in base al pil regionale. Ecco, questa è l’alternativa a Conte. Ora, al di là della personalità di Renzi, la ragione politica vera della sua scelta era quella di spostare l’asse del governo verso quegli interessi che hanno voluto l’abrogazione dell’art.18. Questa era la partita in gioco. E infatti la mattina dopo che Renzi ha ritirato le sue due ministre, sul Corriere della Sera c’era l’intervista a tutta pagina al presidente di Confindustria che dà sponda al tentativo dei renziani”.
E aggiunge: “Sia chiaro: Conte non è Che Guevara. Ma questo governo, grazie soprattutto alla presenza del M5s, rappresenta delle fasce di popolo che verrebbero assolutamente colpite in un governo a larghe intese, tanto più a guida di partiti di destra. Ricordo che questa maggioranza ha bloccato i licenziamenti per oltre un anno, è l’unico governo in Europa che ha fatto questo. Se non ci fosse stata questa maggioranza, oggi avremmo 2 milioni di disoccupati in più. E con tutti i suoi limiti questa maggioranza resiste rispetto al reddito di cittadinanza, che, per carità, ha tanti difetti, ma ha consentito a 3 milioni di persone di poter sopravvivere. Se ci fosse stata un’altra maggioranza, il reddito di cittadinanza sarebbe stato smantellato – conclude – Questo non vuol dire che bisogna tirare a campare. Bisogna attuare riforme, fare interventi di ristoro. L’alternativa è andare a elezioni, non certo un governo tecnico. Renzi? Si è incartato: ha sottovalutato la reazione del M5s e del Pd, perché lui confidava nel fatto che offrendo ai dem o ai 5 Stelle il posto di presidente di Consiglio, questi avrebbero archiviato Conte e sarebbero andati verso un’altra strada. Si sono resi invece conto che l’equilibrio attuale è l’unico possibile. Ma Renzi non si è voluto fermare perché questo messaggio gli è stato recapitato prima delle dimissioni delle ministre. Lui è voluto andare fino in fondo ed è rimasto senza nulla”.