La piazza di Testaccio era divenuta la sua comunità e la testimonianza che un luogo lo si ama per tutta la vita. Emanuele Macaluso è stato un uomo del Novecento, e ciò che separa lui e la sua generazione da quel che l’Italia ritroverà al potere è lo stile di vita. La casa, anzitutto. Quando mi aprì la porta, ero andato a intervistarlo, mi fece accomodare nel suo minuscolo salotto. Il tessuto che copriva i divanetti era liso, la seduta profonda, chissà quanti altri si erano seduti negli anni prima di me. Di fronte la sua poltrona, piegata dagli anni come il suo inquilino, una porta a soffietto di plastica che separava i servizi igienici dal resto dell’abitazione. Oltre ai libri quasi null’altro. Assente totalmente il riflesso non dico del lusso ma di una qualche agiatezza alla quale pur sempre poteva aspirare, lui che aveva trascorso la vita in Parlamento.

Niente. Qui la distanza siderale con la classe dirigente che avremmo conosciuto, qui la testimonianza che la politica per questa gente è stata solo e unicamente passione, carburante essenziale delle idee, giuste o sbagliate non è nemmeno importante ora riferirlo. In questa enorme distanza che separa la passione della politica dal potere di arricchirsene la forza luminosa della sua testimonianza.

La propria casa, che ciascuno di noi forse vorrebbe vedere sempre più opulenta, per quelli della sua generazione appariva come un desiderio inutile, superfluo. Non i soldi ma le idee, non i soldi ma l’ambizione a un ruolo centrale nella vita politica.

La stessa dimensione, e la stessa modestia degli arredi, l’avevo trovata qualche anno prima nell’abitazione di Pietro Ingrao, un’altra voce centrale del Pci. Lui abitava a piazza Bologna e lo conobbi quando già le sue forze erano piegate dagli anni. Solo in casa, con la badante e un plaid a tenergli calde le gambe. E pensai di aver sbagliato via, di aver confuso l’indirizzo quando andai a Imperia per ottenere da sua moglie il ricordo di Alessandro Natta, che era stato segretario del Pci. Chiamai al telefono una seconda volta facendomi ripetere l’indirizzo, incredulo che quel condominio popolare, senza neanche l’ascensore (Natta soffriva di enfisema polmonare) potesse ospitarlo.

Tre grandi (e potenti) uomini politici e tre piccole e povere case.

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