“Lotito ovunque”, diceva un vecchio motto che impazzava nel 2014, ai tempi di Tavecchio, quando il presidente della Lazio spadroneggiava in tutti i palazzi del potere. E non è che oggi ci abbia rinunciato. Si è appena ricandidato per entrare, anzi rimanere nel consiglio della Figc, anche se per legge è ineleggibile: ha già superato i tre mandati stabiliti da tutte le normative, statuti, pareri del Collegio di garanzia del Coni, leggi dello Stato. Giovedì 21 gennaio va al voto la Serie A, per rinnovare i suoi organi in vista delle elezioni Figc. Non sono previste sorprese: il presidente Paolo Dal Pino, che ha ben lavorato e ha (quasi) portato i soldi dei fondi stranieri, dovrebbe essere agevolmente riconfermato (a maggior ragione in attesa che vada in porto l’accordo). Stesso discorso per l’ad Luigi De Siervo, fondamentale per gestire la partita sui diritti tv. Più interessante concentrarsi allora sulle altre poltrone da spartire (in un momento successivo, c’è un mese di tempo). Quelle interne al consiglio di Lega ma soprattutto all’ambitissimo consiglio Figc, dove si prendono le scelte che contano.
Oltre al presidente, alla Serie A spettano due posti. Si sono candidati in tre: Beppe Marotta, uomo forte dell’Inter anche se più debole per la transizione societaria dei nerazzurri, comunque favoritissimo. Poi Claudio Fenucci del Bologna e appunto Lotito, che ha chance, visto che i primi due appartengono alla stesso schieramento e dovranno dividersi i voti. Potrebbero bastare 5-6 preferenze per passare. Lotito dunque può farcela ma in teoria non può farlo: la famosa Legge Lotti ha fissato a tre il limite di mandati per tutte le cariche, e lui li ha già svolti. Perché allora si candida?
La mente del patron della Lazio è imprevedibile. In realtà già una volta l’ha avuta vinta, grazie a un parere della Corte federale: è successo nel 2018, quando la Figc era commissariata dal Coni, lui avrebbe dovuto rimanere fuori e i giudici confermarono la sua nomina. Ma solo perché il limite dei mandati non poteva essere retroattivo. Certo, quel parere metteva addirittura in dubbio la costituzionalità della Legge Lotti, ma specificava anche che stando così le cose il limite sarebbe valso in futuro anche per Lotito. C’è però un’altra sentenza sullo sfondo. Quella della Corte di Cassazione sull’ordine dei commercialisti, secondo cui il limite dei mandati non distingue fra la carica di consigliere e presidente. Il Fatto Quotidiano ne aveva già parlato mesi fa, perché applicata allo sport avrebbe conseguenze dirompenti: così fosse, il tetto colpirebbe anche il n. 1 della Figc, Gabriele Gravina (ma soprattutto il presidente del Coni, Giovanni Malagò). Di fronte a chi l’ha messo in minoranza (in Serie A, sulla partita dei fondi a cui era contrario) e ora magari vorrebbe esiliarlo dalla Figc, Lotito rilancia e alza l’asticella: o tutti (cioè lui), o nessuno. O il limite non vale per i consiglieri, o potrebbe creare problemi ai presidenti. Una provocazione persino alle norme. Ma Lotito, che ama il latino e conosce i codici a memoria, è oltre la legge: la legge la riscrive.