Le riflessioni sono state ritrovate nella cella del 21enne leccese, reo confesso di aver ucciso Daniele De Santis ed Eleonora Manta: "Certe volte sento di essere un vero e proprio mostro e la cosa peggiore è che sento che ad una parte di me piace questa idea...". In un altro bigliettino: "Per la prima volta ho provato un vero dispiacere per quello che ho fatto, però se ci penso adesso non sento le stesse cose". I legali valutano la perizia psichiatrica
Pensieri e frammenti di riflessioni, un momento nel quale parla di una sorta di pentimento: appunti ‘firmati’ da Antonio De Marco, il 21enne di Casarano, nel Salento, reo confesso di aver ucciso nel settembre scorso l’arbitro Daniele De Santis e la sua fidanzata Eleonora Manta nell’abitazione a Lecce in cui si erano da poco trasferiti. Li hanno ritrovati nella sua cella del carcere leccese di Borgo San Nicola, come riporta La Gazzetta del Mezzogiorno. “Se fossi all’esterno il mio impulso di uccidere sarebbe ritornato”, si legge in un manoscritto dallo studente arrestato una settimana dopo il duplice omicidio.
“Questo omicidio poi è la cosa che più mi spezza: una parte di me prova dispiacere (ma solo quello), un’altra è contenta….sì! È felice di aver dato 60 coltellate, poi c’è un’altra parte che avrebbe voluto fare una strage, come se fosse stata una partita a G.T.A.… (il videogioco Grand Theft Auto, nda)”, si legge negli appunti ritrovati in mille pezzi. “Certe volte sento di essere un vero e proprio mostro e la cosa peggiore è che sento che ad una parte di me piace questa idea…”, scrive ancora De Marco. De Marco torna anche sulle motivazioni del gesto del quale si è autoaccusato: “Io ho ucciso Daniele ed Eleonora perché volevo vendicarmi: perché la mia vita doveva essere così triste e quella degli altri così allegra?”.
Le sue riflessioni riguardano ancora cosa sarebbe accaduto se gli inquirenti non fosse risaliti a lui, attraverso le molte tracce lasciate dopo l’assassinio e le riprese delle telecamere di videosorveglianza: “E la cosa peggiore è che sento che se fossi all’esterno il mio impulso di uccidere sarebbe ritornato, sarei scoppiato a piangere, mi sarei arrabbiato, avrei fantasticato su come uccidere qualcuno e poi sarei andato all’Eurospin a comprare patatine e schifezze varie – scrive – È facile per me uccidere, magari non lo è stato da un punto di vista logistico, ma da un punto di vista emotivo è facile. Ma se uccidere non mi ha fatto ottenere nulla, allora probabilmente sentirei l’impulso di farlo ancora?”.
La notizia è stata confermata dall’avvocato Andrea Starace, suo difensore insieme a Giovanni Bellisario. “Sono fogli scritti di pugno dal mio assistito, trovati nel cestino dei rifiuti nel corso della perquisizione svolta il 28 ottobre scorso”, dice il legale. “Anche tenuto conto del contenuto di questi scritti, non escludiamo di ripresentare istanza per chiedere una perizia psichiatrica”, aggiunge Starace. Tra i brani ce n’è uno in cui De Marco parla di un pentimento: “L’altro giorno è successa una cosa strana, mentre leggevo Cime Tempestose (romanzo di Emily Bronte, ndr)… ho ricordato quella sera, la sera dell’omicidio, ma non come faccio sempre, è stato molto più forte…E per la prima volta ho provato un vero dispiacere per quello che ho fatto, forse ero addirittura vicino a piangere. Però se ci penso adesso non sento le stesse cose, non sento niente e basta, ma forse mi sto avvicinando ad un vero pentimento”.
Il pensiero della vita prima della reclusione lo ha spinto anche a far recapitare al cappellano del carcere, don Alessandro D’Elia, una lettera indirizzata a una delle due studentesse del corso di Scienze infermieristiche con cui aveva stretto amicizia. Il parroco avrebbe letto alla ragazza la lettera, in cui non c’era nessun riferimento all’omicidio ma solo il racconto del disagio dietro le sbarre, e poi l’avrebbe tenuta per sé. Fino a quando ha dovuto consegnarla al dirigente della polizia penitenziaria spiegando di aver agito a “fin di bene”. Il parroco, infatti, aveva già recapitato a De Marco un fumetto manga, tra i suoi preferiti, per conto di una giornalista che mandava anche un messaggio al detenuto: “Non sei solo, non mi conosci ma ti parlerà di me don Alessandro, se vuoi scrivimi”. Dopo il ritrovamento di questo materiale nella cella, il parroco è stato convocato e ha dovuto dare spiegazioni: la direttrice del carcere lo ha diffidato e a metà novembre si è dimesso.
A dicembre la procura di Lecce ha chiesto il giudizio immediato per lo studente di scienze infermieristiche, accusato di duplice omicidio aggravato dalla premeditazione e dall’aver agito con crudeltà, oltre che di porto abusivo di coltello. L’accusa, quindi, ritiene di avere in mano un quadro probatorio solido nei confronti dello studente. Lo scorso 28 settembre scorso De Marco, dopo essere stato fermato, aveva confessato agli inquirenti di aver ucciso a coltellate, nella notte del 21 settembre, i due giovani fidanzati, suoi ex inquilini: “Sì, sono stato io. Ho fatto una ‘cavolata’, so di aver sbagliato. Li ho uccisi perché erano troppi felici e per questo mi è montata la rabbia”, aveva detto. Il 21enne mesi prima aveva preso in affitto una stanza nell’appartamento delle due vittime, con cui per brevi periodi aveva convissuto, dal momento che la coppia a volte si fermava a dormire nella casa. Su richiesta di De Santis, il giovane aveva lasciato l’appartamento ad agosto e si era trasferito in un’altra casa sempre a Lecce.
Secondo la ricostruzione degli investigatori, De Marco si è introdotto nella casa con le chiavi mentre la coppia stava cenando e ha sferrato le prime coltellate contro De Santis in cucina. Da alcuni bigliettini trovati sulla scena del crimine, gli inquirenti hanno ricostruito il suo piano omicida: De Marco voleva torturare la coppia, ucciderla e lasciare una scritta dimostrativa sul muro dell’appartamento. Nello zaino aveva dei solventi per cancellare ogni traccia del suo passaggio e del delitto. Ma i due hanno cercato di scappare, invocando aiuto e chiedendo pietà a De Marco che però non si è fatto fermare dalle suppliche, inseguendoli e finendoli sulle scale del condominio con un coltello da caccia acquistato appositamente per compiere l’omicidio.