Il Partito comunista (allora Partito comunista d’Italia) nasce ufficialmente a Livorno il 21 gennaio 1921, al termine del congresso del Partito socialista italiano. La scissione della corrente comunista è scontata già prima che inizino i lavori dei delegati al teatro Goldoni il 13 gennaio. A dicembre Amadeo Bordiga (che sarà il primo segretario del Pcd’I) ha già deciso l’uscita dal partito, in polemica con i socialisti massimalisti unitari di Giacinto Menotti Serrati, accusati di compromissione con il riformismo e di non aver saputo dare una guida alle agitazioni operaie e contadine del biennio rosso (1919-1920).
La frazione comunista ha il pieno sostegno dell’Internazionale comunista alla quale avevano aderito anche i socialisti di Serrati progressivamente emarginato dall’organizzazione.
Nell’autunno del 1920 la chiusura della lunga stagione di scioperi e di occupazione delle fabbriche sconta il disorientamento delle masse che avevano aderito alle agitazioni. Il nuovo Partito comunista, minoritario nella conta congressuale socialista, nasce con l’obiettivo di essere una formazione coesa (ma lo scontro con i bordighiani e il riflesso delle tensioni interne al Pcus sovietico dimostreranno il contrario), in grado di condurre con mano sicura un’eventuale nuova occasione rivoluzionaria.
Sono i quadri più giovani che compiono lo strappo dal Partito socialista e dalla sua tradizione politica, in una situazione nazionale ormai fortemente polarizzata sulle estreme. Antonio Gramsci, vero leader del partito, lamenta la “crisi strutturale dello Stato”. In quell’Italia, ancora ferita dalle lacerazioni lasciate dagli scontri sull’opportunità di partecipare alla Grande guerra, emergono due tensioni contrapposte: la prima guarda – da sinistra – a una trasformazione radicale dei rapporti economici e sociali, la seconda punta – da destra – a restringere gli spazi di democrazia e a consolidare il potere dell’Esecutivo.
Larga parte della classe liberale è sedotta dalle violenze e dalle illegalità compiute dallo squadrismo fascista. La via mediana alla democrazia è abbracciata da pochi. La rivoluzione in Italia, sul modello di quanto accaduto in Russia nel 1917, è un abbaglio, non ci sono le condizioni per realizzarla, ma il Partito comunista d’Italia nasce come organo della rivoluzione mondiale, per quanto i fuochi insurrezionali in Baviera e in Ungheria fossero stati soffocati nel 1919 e, nel marzo 1921, un altro tentativo rivoluzionario in Sassonia sia finito represso dai socialdemocratici.
Queste sconfitte non infrangono la chimera della rivoluzione che anima i comunisti europei, destinati a subire un più stretto controllo sovietico. L’utopia che si è mossa forgia un solido immaginario collettivo che prescinde dalla realtà: lontana dai lunghi stenti dell’economia sovietica negli anni Venti e dalle drammatiche purghe di Stalin negli anni Trenta. La Russia resta là, a indicare la via, simbolo di futura umanità, di solidarietà e di nuovi e più umani legami comunitari.
Senza la forza trainante di questo mito non si può cogliere quello che fu il Partito comunista italiano negli anni Trenta e Quaranta, non si può capire la disponibilità al sacrificio dei suoi militanti nell’intransigente opposizione al fascismo e nel movimento di Resistenza. Per i giovani, all’indomani della Liberazione, il Partito comunista – al contrario del Partito socialista – è il partito che non si è mai arreso pagando lo scotto più alto alla dittatura e alla lotta contro i nazifascisti.
Poi, nel dopoguerra, quel partito di rivoluzionari di professione si trasforma in un partito di massa, tale è l’obiettivo di Palmiro Togliatti enunciato a Salerno nel 1944. Dal Dna rivoluzionario, con il quale è sorto il partito, il rapporto con la pratica democratica non è né immediato né del tutto sincero, ma è imposto dalla situazione internazionale che impedisce uno sbocco rivoluzionario nel nostro Paese. Palmiro Togliatti, proprio in quel 1944, capisce il contorno d’azione nel quale si potrà muovere e lavora per trasformare l’originaria natura del partito cambiandone gli obiettivi e lanciando la parola d’ordine della democrazia progressiva.
Le successive segreterie di Luigi Longo ed Enrico Berlinguer (che arriva a rinnegare l’Unione Sovietica) consolideranno questo percorso rendendo il Partito comunista italiano un vettore di democrazia che, nei suoi anni più luminosi, ha caratterizzato per efficienza e trasparenza le regioni e i comuni che ha amministrato rifuggendo da settarismi e astratti ideologismi, senza per questo dimenticare la tutela delle classi sociali più deboli.
Mirco Dondi
Storico
Politica - 21 Gennaio 2021
I cent’anni del Partito Comunista non si possono capire senza il sacrificio dei suoi militanti
Il Partito comunista (allora Partito comunista d’Italia) nasce ufficialmente a Livorno il 21 gennaio 1921, al termine del congresso del Partito socialista italiano. La scissione della corrente comunista è scontata già prima che inizino i lavori dei delegati al teatro Goldoni il 13 gennaio. A dicembre Amadeo Bordiga (che sarà il primo segretario del Pcd’I) ha già deciso l’uscita dal partito, in polemica con i socialisti massimalisti unitari di Giacinto Menotti Serrati, accusati di compromissione con il riformismo e di non aver saputo dare una guida alle agitazioni operaie e contadine del biennio rosso (1919-1920).
La frazione comunista ha il pieno sostegno dell’Internazionale comunista alla quale avevano aderito anche i socialisti di Serrati progressivamente emarginato dall’organizzazione.
Nell’autunno del 1920 la chiusura della lunga stagione di scioperi e di occupazione delle fabbriche sconta il disorientamento delle masse che avevano aderito alle agitazioni. Il nuovo Partito comunista, minoritario nella conta congressuale socialista, nasce con l’obiettivo di essere una formazione coesa (ma lo scontro con i bordighiani e il riflesso delle tensioni interne al Pcus sovietico dimostreranno il contrario), in grado di condurre con mano sicura un’eventuale nuova occasione rivoluzionaria.
Sono i quadri più giovani che compiono lo strappo dal Partito socialista e dalla sua tradizione politica, in una situazione nazionale ormai fortemente polarizzata sulle estreme. Antonio Gramsci, vero leader del partito, lamenta la “crisi strutturale dello Stato”. In quell’Italia, ancora ferita dalle lacerazioni lasciate dagli scontri sull’opportunità di partecipare alla Grande guerra, emergono due tensioni contrapposte: la prima guarda – da sinistra – a una trasformazione radicale dei rapporti economici e sociali, la seconda punta – da destra – a restringere gli spazi di democrazia e a consolidare il potere dell’Esecutivo.
Larga parte della classe liberale è sedotta dalle violenze e dalle illegalità compiute dallo squadrismo fascista. La via mediana alla democrazia è abbracciata da pochi. La rivoluzione in Italia, sul modello di quanto accaduto in Russia nel 1917, è un abbaglio, non ci sono le condizioni per realizzarla, ma il Partito comunista d’Italia nasce come organo della rivoluzione mondiale, per quanto i fuochi insurrezionali in Baviera e in Ungheria fossero stati soffocati nel 1919 e, nel marzo 1921, un altro tentativo rivoluzionario in Sassonia sia finito represso dai socialdemocratici.
Queste sconfitte non infrangono la chimera della rivoluzione che anima i comunisti europei, destinati a subire un più stretto controllo sovietico. L’utopia che si è mossa forgia un solido immaginario collettivo che prescinde dalla realtà: lontana dai lunghi stenti dell’economia sovietica negli anni Venti e dalle drammatiche purghe di Stalin negli anni Trenta. La Russia resta là, a indicare la via, simbolo di futura umanità, di solidarietà e di nuovi e più umani legami comunitari.
Senza la forza trainante di questo mito non si può cogliere quello che fu il Partito comunista italiano negli anni Trenta e Quaranta, non si può capire la disponibilità al sacrificio dei suoi militanti nell’intransigente opposizione al fascismo e nel movimento di Resistenza. Per i giovani, all’indomani della Liberazione, il Partito comunista – al contrario del Partito socialista – è il partito che non si è mai arreso pagando lo scotto più alto alla dittatura e alla lotta contro i nazifascisti.
Poi, nel dopoguerra, quel partito di rivoluzionari di professione si trasforma in un partito di massa, tale è l’obiettivo di Palmiro Togliatti enunciato a Salerno nel 1944. Dal Dna rivoluzionario, con il quale è sorto il partito, il rapporto con la pratica democratica non è né immediato né del tutto sincero, ma è imposto dalla situazione internazionale che impedisce uno sbocco rivoluzionario nel nostro Paese. Palmiro Togliatti, proprio in quel 1944, capisce il contorno d’azione nel quale si potrà muovere e lavora per trasformare l’originaria natura del partito cambiandone gli obiettivi e lanciando la parola d’ordine della democrazia progressiva.
Le successive segreterie di Luigi Longo ed Enrico Berlinguer (che arriva a rinnegare l’Unione Sovietica) consolideranno questo percorso rendendo il Partito comunista italiano un vettore di democrazia che, nei suoi anni più luminosi, ha caratterizzato per efficienza e trasparenza le regioni e i comuni che ha amministrato rifuggendo da settarismi e astratti ideologismi, senza per questo dimenticare la tutela delle classi sociali più deboli.
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Roma, 13 feb. (Adnkronos) - Il Milleproroghe è un provvedimento routinario, in teoria nell'esame tutto doveva andare liscio. Invece l'iter di questo provvedimento è stato un disastro, la maggioranza l'ha gestito in modo circense, dando prova di dilettantismo sconcertante". Lo ha detto la senatrice Alessandra Maiorino, vice presidente del gruppo M5S al Senato, nella dichiarazione di voto sul Milleproroghe.
"Già con l'arrivo degli emendamenti abbiamo visto il panico nel centrodestra. Poi è arrivata la serie di emendamenti dei relatori, o meglio del governo sotto mentite spoglie, a partire da quelli celebri sulla rottamazione delle cartelle. Ovviamente l'unica preoccupazione della maggioranza, a fronte di 100 miliardi di cartelle non pagate, è stata solo quella di aiutare chi non paga. Esattamente come hanno fatto a favore dei no vax, sbeffeggiando chi sotto il Covid ha rispettato le regole. In corso d'opera abbiamo capito che l'idea di mettere tre relatori, uno per ogni partito di maggioranza, serviva a consentire loro di marcarsi a vicenda, di bloccare gli uni gli sgambetti degli altri. Uno scenario surreale! Finale della farsa poi è stato il voto di un emendamento di maggioranza ignoto ai relatori e una ignobile gazzarra notturna scoppiata tra i partiti di maggioranza. Non avevamo mai visto tanto dilettantismo in Parlamento".
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "Il decreto Milleproroghe rappresenta una sfida importante, un provvedimento cui abbiamo dato un significato politico, un’anima. L’azione di questo governo punta a mettere in campo riforme e norme strutturali ma esistono anche pilastri meno visibili che hanno comunque l’obiettivo finale della crescita delle imprese e della nostra economia, di sostenere il sistema Italia nel suo complesso. Ecco perché col decreto Milleproroghe abbiamo provveduto ad estendere o a sospendere l’efficacia di alcuni provvedimenti con lo scopo di semplificare e rendere più snella la nostra burocrazia, sempre con l’obiettivo dichiarato della crescita. Fra questi norme sulle Forze dell’ordine e sui Vigili del Fuoco, sostegno ai Comuni e all’edilizia, nel campo sociale e sanitario come in quello dell’industria e della pesca e sul contrasto all’evasione fiscale. Più di 300 emendamenti approvati, tra cui anche quelli dell’opposizione, al fine di perseguire, con questo esecutivo, la finalità di fornire alla nostra Nazione gli strumenti per crescere e per questo il voto di Fratelli d’Italia è convintamente a favore”. Lo dichiara in aula il senatore di Fratelli d’Italia Andrea De Priamo.
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "Dico al ministro Crosetto che l’aumento delle spese per armamenti, addirittura fino al 3%, ruba il futuro ai nostri figli. Ruba risorse alla sanità, alla scuola, ai trasporti. L’aumento delle spese per le armi non ci renderà più sicuri, ma alimenterà conflitti e guerre, come la storia dimostra”. Così Angelo Bonelli, deputato di AVS e co-portavoce di Europa Verde, in merito alle dichiarazioni di Crosetto sull'aumento delle spese militari.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Il problema della situazione carceraria nel Paese è un problema che ogni giorno ci tocca da vicino, stiamo gia' predisponendo le dovute soluzioni. Abbiamo gia' definito il piano carceri e il commissario straordinario". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento di ritorno dalla Turchia alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Criticità nel disegno di legge costituzionale non ve ne sono tali da alterare il testo, ma sarà seguito da una serie di leggi ordinarie. Per esempio, manca nella disegno di legge costituzionale la riserva per le quote cosiddette rosa, ma questo lo metteremo nelle leggi di attuazione che saranno leggi ordinarie. Anche il sistema del sorteggio potrà essere meglio definito. Ma una cosa e' certa: questa legge costituzionale non si modifica". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento di ritorno dalla Turchia alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo, parlando delle dichiarazioni del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli che ieri, aveva parlato dei "punti di criticità della riforma del Csm" sui quali si e' appuntata anche l'attenzione della Commissione Ue, aveva sottolineato la necessita' di "un'approfondita riflessione.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Oggi in Turchia, parlando con il mio omologo, il ministro di giustizia turco, quando ho detto che probabilmente i magistrati italiani faranno uno sciopero, lui è rimasto sorpreso e mi ha domandato 'ma è legale?'. Se i magistrati vogliono fare lo sciopero che lo facciano, ma quello che è certo e che, senza alcun dubbio, noi andremo avanti perché e' un nostro impegno verso gli elettori". Lo ha detto il ministro della Giustizia Carlo Nordio intervenendo in vdieocollegamento di ritorno dalla Turchia alla Giornata dell'orgoglio dell'appartenenza degli avvocati a Palermo.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - La separazione delle carriere dei magistrati "è un dovere verso elettorato perché lo avevamo promesso nel nostro programma e questo faremo. Il nostro e' un vincolo politico verso l'elettorato". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento, di ritorno dalla Turchia, alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo. "Io sto girando un po' dappertutto per redigere protocolli - ha proseguito il ministro -, e ogni qualvolta parliamo di separazione carriere ci guardano con un occhio perplesso perché in tutti gli ordinamenti del mondo questo è normale".