Il 17 marzo saranno chiamati a comparire all'udienza preliminare 45 imputati, tra cui l’ex ministro Pd Enzo Bianco e l’ex magistrato Vincenzo D’Agata, accusati a vario titolo di turbativa degli incanti, della libertà del procedimento del contraente, induzione indebita e corruzione. È il secondo filone dell’inchiesta madre "Università Bandita" che, secondo i pm, ha fatto luce sulla gestione dentro l’ateneo, portando alle dimissioni del rettore Francesco Basile
Sono accusati di non aver seguito la meritocrazia per ottenere una cattedra all’università di Catania, la scelta su curriculum o pubblicazioni sarebbe stata secondaria, ciò che importava era avere i giusti contatti con i vertici dell’ateneo e con il rettore. I magistrati si dicono convinti che decine di concorsi sono stati cuciti su misura, con accordi sotto banco per spartirsi le docenze, convincendo i candidati a ritirarsi con la promessa di un nuovo ruolo. Il tutto correlato da false dichiarazioni nei verbali, rimborsi spese per convegni mai realizzati e creazioni di cattedre senza che ce ne fosse l’esigenza.
Le accuse – Per rispondere a queste accuse, il prossimo 17 marzo all’aula bunker del carcere di Bicocca, saranno chiamati a comparire all’udienza preliminare 45 imputati, tra cui l’ex ministro Pd Enzo Bianco e l’ex magistrato Vincenzo D’Agata, accusati a vario titolo di turbativa degli incanti, della libertà del procedimento del contraente, induzione indebita, falso ideologico, falso materiale e corruzione. È il secondo filone dell’inchiesta madre Università Bandita della Procura di Catania, istruita dai magistrati Marco Bisogni e Raffaella Agata Vinciguerra, che ha aperto uno squarcio sulla gestione dentro l’ateneo catanese, portando alle dimissioni del rettore Francesco Basile. L’ex numero uno dell’ateneo insieme al suo predecessore Giacomo Pignataro e altri 8 docenti sono accusati di associazione delinquere finalizzata alla manipolazione dei concorsi universitari, la loro posizione segue un processo parallelo su cui pende già la richiesta di rinvio a giudizio.
La cattedra per la figlia del procuratore – Un meccanismo collaudato che avrebbe consentito di far vincere la cattedra al candidato prescelto. Come nel caso della docente Vera D’Agata, figlia dell’ex procuratore etneo Vincenzo D’Agata, accusati di turbata della libertà degli incanti, perché in concorso con l’ex rettore Basile e il direttore del dipartimento di biologia Filippo Drago, secondo l’accusa, hanno tentato di condizionare il bando per l’assegnazione di un posto in prima fascia al Dipartimento di Scienze biologiche e tecniche. Un posto che sarebbe stato studiato ad hoc per la D’Agata, e che avrebbe portato ad estromettere un altro candidato, Sergio Castorina, al quale sarebbe stato suggerito di non presentarsi “al concorso”. “Nel giro di sei mesi sistemo tutto, ti bandisco un altro posto, sono io d’accordo con il Rettore (Basile, ndr)”. Le parole del professore Drago a Castorina, durante una riunione intercettata dalla Digos di Catania, sembrano confermare l’ipotesi degli inquirenti. Per questo motivo Vera D’Agata è accusata anche di induzione indebita.
La docenza all’ex assessore – In uno degli atenei più antichi d’Italia, fondato nel 1434 sotto la reggenza del re Alfonso V d’Aragona, nessuno dei dipartimenti sarebbe stato escluso dal mercimonio delle cattedre. Da medicina a farmacia, passando per chimica, biologia, matematica ed economia, sono tantissimi i bandi finiti sotto la lente degli investigatori. Nel Dipartimento di Scienze umanistiche, si sarebbe addirittura tentato di assegnazione una cattedra al professore e scrittore Orazio Licandro. Per farlo, si sarebbe interessato in prima persona Enzo Bianco, già ministro dell’Interno del governo di Romano Prodi e per ben quattro volte sindaco di Catania, che secondo l’inchiesta avrebbe “istigato” e “sollecitato” prima il rettore Pignataro e dopo il suo successore Basile. Per compiacere Bianco e far ottenere a Licandro un incarico “per il settore di sua competenza”, sempre stando all’ipotesi dell’accusa, si sarebbero attivati i vertici del Dipartimento di scienze umanistiche. Una manovra, secondo i magistrati, “in assenza di alcuna esigenza didattica” e che sarebbe stata possibile “colmare con altri docenti interni dell’ateneo”.