Sentenza storica per gli ex vertici dello Ior dell’era Wojtyla. Il Tribunale Vaticano, presieduto da Giuseppe Pignatone, ha condannato Angelo Caloia, presidente dell’Istituto per le opere di religione dal 1989 al 2009, oggi 81enne, e l’avvocato Gabriele Liuzzo, 97enne, a otto anni e undici mesi di reclusione e a pagare una multa di 12.500 euro ciascuno per i reati di riciclaggio e appropriazione indebita aggravata. Lamberto Liuzzo, figlio dell’avvocato Gabriele, 55enne, è stato, invece, condannato a cinque anni e due mesi e al pagamento di una multa di 8mila euro per riciclaggio. “In ragione delle pene loro comminate, – ha precisato la Santa Sede – gli imputati sono stati tutti dichiarati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici ed è stata altresì disposta a loro carico la confisca di somme complessivamente pari a circa 38 milioni di euro. Infine, gli imputati sono stati condannati al risarcimento dei danni nei confronti dello Ior e della sua controllata Sgir, costituiti parte civile, per una somma superiore a 20 milioni di euro”.

Con la prima sentenza del Tribunale Vaticano sotto la presidenza di Pignatone si conclude un processo iniziato nel 2018. Secondo l’accusa, basata principalmente sulle indagini fatte nel 2014 dal gruppo Promontory, Caloia e Liuzzo, d’intesa con l’allora direttore generale dello Ior Lelio Scaletti, morto nel 2015, “avrebbero venduto, tra il 2002 e il 2007, gli immobili ad un prezzo di gran lunga inferiore al valore di mercato. Essi si sarebbero poi appropriati della differenza, stimata in circa 59 milioni di euro, che in parte avrebbero riciclato in Svizzera, anche con l’aiuto del figlio del Liuzzo”. “L’istruttoria dibattimentale, durata circa due anni, – ha spiegato la Santa Sede – ha consentito di chiarire, grazie al contributo di tutte le parti, nel pieno rispetto del contraddittorio, i principali aspetti della vicenda. Tra l’altro, i periti hanno stimato nella misura di circa 34 milioni di euro la differenza tra quanto incassato dallo Ior e dalla Sgir ed il valore di mercato degli immobili”.

La Santa Sede ha aggiunto che “il Tribunale ha ritenuto provato che in alcuni casi gli imputati si sono effettivamente appropriati di parte del denaro pagato dai compratori, o comunque di denaro dello Ior e della Sgir, per un importo complessivo di circa 19 milioni di euro. Ha quindi dichiarato gli imputati Caloia e Gabriele Liuzzo responsabili di più fatti di peculato in danno dello Ior e di altri di appropriazione indebita aggravata in danno della Sgir, oltre che del reato di autoriciclaggio”. Il Vaticano ha precisato, inoltre, che “gli imputati sono stati invece assolti dalle accuse relative alla vendita di quegli immobili per cui non è stata provata l’appropriazione, da parte loro, di denaro, anche se il prezzo di acquisto è risultato in molti casi nettamente inferiore al valore di mercato dell’epoca”. I 29 immobili, elencati durante la sentenza, si trovano principalmente a Roma e nella sua provincia, ma anche a Milano e Genova.

La decisione del rinvio a giudizio era stata adottata dopo le indagini avviate a seguito di una denuncia presentata dallo stesso Ior. Per gli attuali vertici della banca vaticana questo era “un importante passo che conferma, ancora una volta, l’impegno profuso negli ultimi anni dal management dello Ior, per attuare una governance forte e trasparente nel rispetto dei più rigorosi standard internazionali e la volontà dell’istituto di continuare a perseguire, attraverso il ricorso alla giurisdizione civile e penale, qualunque illecito ovunque e da chiunque commesso ai suoi danni”. Per questo motivo lo Ior aveva deciso di costituirsi parte civile nel processo.

Il pm vaticano, Gian Piero Milano, ha espresso “vivo apprezzamento perché mi risulta che il giudizio sia stato molto approfondito e sia stato condotto con grande scrupolo da parte di tutti” tanto da essere, pur essendosi svolto nel “microsistema” e nel “minimo Stato” del Vaticano, un “processo destinato a restare nella storia”. Anche Pignatone ha voluto fare in aula un “ringraziamento non formale a tutte le parti, sia pubbliche sia private, per il contributo dato a questo processo, un contributo sia nella ricostruzione di fatti complicati, sia un contributo di diritto per questioni di notevole complessità”.

“La decisione, che pure cade in un clima complessivamente poco favorevole a chi si difende, non accoglie l’ipotesi massimalista dell’accusa e pronuncia assoluzione con riferimento alla maggior parte degli immobili” dicono i difensori di Caloia – gli avvocati Domenico Pulitanò e Rosa Palavera – che hanno già presentato la dichiarazione di appello. “Il dispositivo della sentenza è molto articolato e resterà poco decifrabile fino al deposito delle motivazioni”.

Twitter: @FrancescoGrana

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