Il Consiglio dei ministri convocato in serata ha ufficializzato la nomina di Pietro Benassi a sottosegretario con delega all'Intelligence. Ha avuto un ruolo fondamentale nell’avvicinare Conte ad Angela Merkel, cementando un rapporto utile nella trattativa sul Recovery Fund. Ed ha avuto un ruolo di primo piano nel portare il premier a sostenere la cosiddetta maggioranza Ursula per la nascita dell’attuale Commissione europea
L’ambasciatore Pietro Benassi, attuale consigliere diplomatico del premier Giuseppe Conte, è stato nominato sottosegretario con delega ai Servizi segreti. Il Consiglio dei ministri convocato in serata da Conte e terminato intorno alle 23 ha ufficializzato l’assegnazione della delega che è stata anche al centro degli attacchi di Matteo Renzi. Benassi era uno dei nomi più accreditati: romano, 63 anni a giugno, è stato ambasciatore a Berlino fino a giugno del 2018, prima di essere chiamato a Palazzo Chigi dal premier Conte come suo consigliere diplomatico. Con l’assegnazione della delega ai servizi segreti si sblocca anche l’impasse per altre nomine, legate ai “vice direttori” dell’intelligence interna, esterna e del Dis.
Il profilo – Benassi è una scelta con cui Conte non cede su un punto: destinare la delega ad una personalità di massima fiducia. Una fiducia costruita nei due anni e mezzo di lavoro a Palazzo Chigi di Conte con il suo consigliere diplomatico. GIà nel governo M5s-Lega che Benassi fa valere il suo curriculum europeista e merkeliano. Forte del suo rapporto con Angela Merkel, Benassi ha avuto un ruolo fondamentale nell’avvicinare Conte alla cancelliera tedesca, cementando un rapporto grazie al quale la Germania è stata solidamente dalla parte dell’Italia nella difficile trattativa sul Recovery Fund a Bruxelles l’estate scorsa. Ed è stato lo stesso ambasciatore ad avere avuto ancora un ruolo di primo piano nel portare il premier a sostenere la cosiddetta maggioranza Ursula per la nascita dell’attuale Commissione europea guidata dalla Von der Leyen.
Prima di essere ambasciatore a Berlino (dal 2014 al 2018) e di fungere da capo di gabinetto alla Farnesina, Benassi è stato ambasciatore a Tunisi, dal 2009 al 2013, ovvero nei turbolenti mesi della Primavera araba. La sua carriera inizia al dipartimento affari economici della Farnesina, per poi fare tappa a Cuba e a Varsavia. E’ stato anche capo di gabinetto dei ministri degli Esteri Emma Bonino e Federica Mogherini. Con Conte, invece, è a Bruxelles che Benassi affronta i dossier più delicati, da quello dell’immigrazione, alla manovra – invisa dai falchi – in cui furono varati reddito di cittadinanza e quota 100. Fino all’ultima sfida del Next Generation Ue. A lui, ora, spetterà guidare uno dei rami del governo finito più nel mirino dell’opposizione e di Iv. A cominciare dal caso della missione segreta in Italia del General Attorney dell’amministrazione Trump William Barr per il caso Russiagate.
Il nodo politico – Solo a inizio settimana, in occasione del voto di fiducia chiesto alle Camere, Conte ha annunciato al Parlamento l’intenzione di assegnare la delega “a una persona di sua fiducia”. Una decisione che è arrivata a sorpresa: proprio la delega ai Servizi segreti, finora nelle mani del premier, è stata tra i motivi di scontro con Italia viva e Matteo Renzi ha sempre chiesto che venisse ceduta, nonostante la legge preveda che il presidente del Consiglio possa decidere di non assegnarla. Proprio nel corso della conferenza stampa di fine anno Conte aveva ribadito che “la legge del 2007 attribuisce al presidente del Consiglio la responsabilità politica e giuridica sulla sicurezza nazionale e io ne rispondo comunque. Che mi avvalga o meno di nominare una persona di fiducia”. Stando alle ricostruzioni degli ultimi giorni, il gesto di Conte è stato fatto proprio in un ottica distensiva e di collaborazione nei confronti di tutti coloro che vorranno sostenere il governo Conte: se secondo Renzi il premier non ha mai voluto mediare sull’argomento, proprio Conte ha voluto dimostrare in Parlamento il contrario. Da lì la necessità di accelerare il passaggio. Sono ore intense di interlocuzioni e mediazioni per riuscire ad allargare la maggioranza e questo atto potrebbe facilitare la riapertura del dialogo con alcune delle forze in Parlamento. Inoltre, tra le preoccupazioni del presidente del Consiglio c’è il voto di mercoledì 27 gennaio, quando si voterà sulla relazione sullo stato della giustizia del ministro Alfonso Bonafede. In quell’occasione l’esecutivo potrebbe non avere i numeri necessari a tutelare il Guardasigilli e potrebbero naufragare definitivamente le speranze di un Conte-ter.
La giornata – Oggi per tutto il giorno, l’esecutivo ha lavorato alla ricerca dei cosiddetti “volenterosi”, proprio mentre il centrodestra saliva al Colle per chiedere il ritorno alle urne “perché la maggioranza è incosistente”. A Palazzo Chigi, come riferisce l’Ansa, si sono visti prima il capogruppo M5s a Palazzo Madama Ettore Licheri, poi i senatori Gianluca Perilli e Alessandra Maiorino. Ad un certo punto, dalla sede del governo, sono usciti anche gli ex M5s Raffaele Trano e Piera Aiello. Conte è consapevole che la svolta la si potrà avere in due casi: o con la fuoriuscita di altri parlamentari di Forza Italia e di Iv o facendo in qualche modo rientrare i renziani in maggioranza. E non a caso, in serata Renzi, prima di tornare a riunire i suoi gruppi, ha usato, per la prima volta, ha usato parole di apertura invocando la riapertura delle discussioni con l’esecutivo. Una strada che al momento il premier ha escluso, blindato sia da Pd che M5s. Diverso tema è il comportamento dei parlamentari di Italia viva, vera pedina capace di fare la differenza. Come anticipato in queste ore, si lavora per recuperare cinque persone almeno a Palazzo Madama. E tra queste potrebbero esserci gli scontenti di Italia viva che vorrebbero, è l’ultima ricostruzione, coordinare il rientro nel Partito democratico e non ritornare alla spicciolata. Nella strategia di Conte l’obiettivo è formare due gruppi parlamentari di “costruttori”. E c’è un altro tema che Conte depone sul tavolo delle trattative: l’elezione del capo dello Stato. Si lavora quindi su chi vuole aderire ad una sorta di esecutivo di unità in chiave anti-sovranista e con lo stesso premier. Una “maggioranza Ursula” che avrebbe come principale compito l’attuazione del Recovery Plan. Su questo tavolo si giocheranno le ultime mediazioni, con un unica condizione: fare più in fretta possibile per evitare che il piano salti sotto le pressioni delle forze politiche.