Il presidente inizia il suo mandato cancellando con un colpo di spugna le politiche di Trump a partire da immigrazione, cambiamento climatico, uguaglianza razziale e Covid
A poche ore dal giuramento al Campidoglio, Joe Biden segna concretamente il cambio di passo dall’amministrazione precedente con la firma di 17 ordini esecutivi che cancellano con un colpo di spugna le politiche di Donald Trump a partire da immigrazione, cambiamento climatico, uguaglianza razziale e Covid. Un primo atto dallo Studio ovale che relega al passato i quattro anni appena conclusi ma che, come spiega in una nota il suo staff, oltre a “cancellare i danni più gravi dell’Amministrazione Trump” vuole segnare un nuovo inizio per “far avanzare il nostro Paese. Queste azioni sono audaci, – prosegue la nota – iniziano il lavoro per realizzare le promesse fatte dal presidente eletto Biden al popolo americano e, cosa importante, rientrano nel ruolo costituzionale del presidente”.
Il primo ordine firmato dal presidente è stato quello che impone l’obbligo di mascherina e distanziamento sociale negli edifici e nei territori federali contro la pandemia per i primi cento giorni della sua amministrazione. Tra gli altri il rientro nell’accordo di Parigi sul clima, la revoca del divieto di ingresso negli Usa ai cittadini di alcuni Paesi musulmani, lo stop all’oleodotto Keystone tra Canada e Usa, la fine della dichiarazione di emergenza per dirottare fondi per il muro col Messico.
E c’è anche quello per fermare il processo avviato da Trump di ritiro della dall’Oms, un’organizzazione definita “essenziale” nel contrasto alla pandemia, che il magnate nei mesi scorsi ha sempre attaccato, accusandola di complicità con Pechino. Con un’altra misura ha poi avviato il rientro nell’accordo di Parigi, sempre rovesciando una politica di Trump. Un atto che sarà depositato presso le Nazioni Unite e gli Stati Uniti ne faranno ufficialmente di nuovo parte tra un mese.
Continuando poi nelle azioni simboliche di ripudio delle politiche di Trump, un altro ordine esecutivo mette fine al cosiddetto ‘muslim ban’, controverso architrave della politica anti-immigranti dell’ex presidente repubblicano. La misura attualmente in vigore limita l’accesso negli Usa per motivi di sicurezza ai cittadini provenienti da Iran, Libia, Somalia, Siria e Yemen, oltre a quelli provenienti dal Venezuela e dalla Corea del Nord. Ma forse il gesto simbolicamente più importante è quello dello stop alla costruzione del muro anti-migranti al confine con il Messico, con la cessazione immediata della dichiarazione di emergenza nazionale che fu usata come “pretesto” per finanziare il muro.