“Ci trattavano come animali. Vogliamo un contratto vero e un’assicurazione”. Efousa e Rez sono due rider nigeriani che hanno lavorato per Uber Eat. Oggi a Milano, insieme ad altri diciannove loro colleghi, sono stati ammessi come parti civili nel processo per caporalato che vede tra gli imputati l’ex manager di Uber Italy Gloria Bresciani e i vertici della società di intermediazione Flash Road City. Le indagini guidate dal pm Paolo Storari avevano scoperto un sistema che gli stessi imputati definivano “per disperati”. “Tre euro a consegna, non importava quanti chilometri facevi – racconta uno dei rider uno dei rider prima di entrare in Tribunale – e se ti rifiutavi ti toglievano dal sistema”. Punizioni che prevedevano “un’arbitraria decurtazione, il cosiddetto malus, del compenso pattuito” fino ad arrivare al blocco dell’account e i rider venivano “derubati”delle mance che i clienti lasciavano. “In tal modo i riders venivano sottoposti a condizioni di lavoro degradanti – si legge nelle carte dell’accusa – con un regime di sopraffazione retributivo e trattamentale, come riconosciuto dagli stessi dipendenti Uber”. E così Uber Italy, dopo il commissariamento,è stata citata dal gup Teresa Di Pasquale come responsabile civile. “Siamo soddisfatti che al momento siano i tribunali a mettere una pezza sul tema rider mentre fino ad adesso il governo e la politica non ha risolto la questione” spiega l’avvocato Giulia Druetta che insieme ai colleghi Gianluca Vitale, Laura Martinelli, Sergio Bonetto e Maurizio Riverditi segue i rider. Dopo la firma dell’accordo definito “pirata” tra le piattaforme del delivery e l’Ugl, i lavoratori continuano a chiedere un cambio di passo. “Bisogna riportare la questione dei rider alla normalità – conclude l’avvocato Druetta – bisogna che siano pagati in maniera dignitosa secondo i contratti collettivi e che gli sia garantita la sicurezza sul lavoro”