Magari sarà pure un’iperbole che John Elkann si sia “comprato un governo” per usare l’espressione brutale adottata in questo video da Pierangelo Decisi, un veterano del settore automotive europeo. Ma l’iperbole offre plasticamente una chiave di lettura della fusione FCA-Peugeot da cui è emerso Stellantis, un colosso globale del settore automobilistico da 8 milioni di autovetture e 400mila dipendenti.
Sulla stampa da salotto è tutto un fiorire di analisi sulle sinergie di piattaforme, motori, brand e distribuzione. Ma sono i proverbiali alberi che fanno perdere di vista la foresta. Le analisi semplicistiche, di acidulo sapore provinciale, poggiano su tre capisaldi:
1) la fusione sarebbe una (s)vendita della FCA ai francesi da parte della famiglia Agnelli-Elkann, che finalmente si sbarazza dell’obsoleto e oneroso settore automobilistico, come agognato da tanti anni, per dedicarsi ad un gruppo prevalentemente finanziario che permetta il tenore di vita ai rentiers.
2) Peugeot comanderà nel gruppo perché nonostante la parità di membri assegnati in CdA, i francesi hanno nominato l’amministratore delegato Carlos Tavares, mentre John Elkann viene relegato a un ruolo cerimoniale come Presidente (e tacitato con principeschi dividendi);
3) Stellantis dovrà tagliare rami secchi e stabilimenti poco produttivi (si prevedono sinergie per 5 miliardi di euro a regime); ma siccome il governo francese che detiene una quota del 6,2% nel capitale difenderà l’occupazione nell’Esagono, saranno chiusi gli stabilimenti in Italia (dove FCA accumula perdite).
Nel corso di un’ora nel video vengono sviscerati i veri obiettivi di questa gigantesca operazione, emersi nitidamente nella conferenza stampa di Carlos Tavares in occasione del debutto in Borsa. La fusione è un’operazione “offensiva”, non una battaglia di retroguardia con l’obiettivo chiudere qualche fabbrica. Anzi la fusione, che apporta un beneficio stimato dall’AD in 25 miliardi, è “uno scudo protettivo… per tutelare posti di lavoro”.
In sostanza un gruppo di caratura mondiale con un governo solido come quello francese alle spalle, permette di partecipare da protagonista alla ristrutturazione dell’industria automobilistica mondiale in questo decennio. Consentirà ad esempio di inglobare Renault (una volta separatasi da Nissan) e di aggiungere la capacità produttiva nel Regno Unito tramortito dalla Brexit. E possibilmente lanciarsi sul mercato cinese dove la presenza è di stampo lillipuziano.
L’industria automobilistica è notoriamente un settore ad alta intensità tecnologica e ad alta intensità di lavoro manuale. Proprio per le esternalità generate dall’innovazione e l’impatto occupazionale è soggetto a fortissima influenza della politica che dispone di succulente carote (sussidi, agevolazioni, crediti, commesse) e nodosi bastoni (regolamentazioni sulla sicurezza, diritto del lavoro, protezione dei consumatori, standard ambientali).
In termini crudi, le case automobilistiche con il loro gigantesco indotto per prosperare sui mercati mondiali, o talora solo per rimanere a galla, devono continuamente rimanere in equilibrio come funamboli su due corde tese. Quella della concorrenza sul mercato e quella della concorrenza tra sistemi paese. L’Italia, carente su ambo i piani, sul secondo è notoriamente un disastro.
Innanzitutto la Exor, la finanziaria dalla famiglia Agnelli, sarà il socio di maggioranza di Stellantis detenendo il 14,4% del capitale sociale, contro il 7,2% della famiglia Peugeot, il 6,2% dello Stato francese e il 5,6% della Dongfeng cinese. La componente italiana quindi detiene il doppio delle azioni del socio privato francese e in virtù del diritto societario olandese esercita il controllo di fatto. In CdA i membri sono equamente divisi (5 per parte), ma il fatto che l’Amministratore Delegato provenga da Peugeot non implica che il controllo penda verso il territorio transalpino. È il tipico frutto di una mentalità da tifoso presumere che un manager di caratura mondiale si presti a vestire la maglia di una squadra. Tavares (che di nazionalità è portoghese) verrà giudicato dai risultati, non dalla fedeltà, come è tipico della mentalità italiana. Tra l’altro nei ruoli apicali chiave brillano manager italiani.
Quanto al ruolo di John Elkann, potrebbe essere considerato una sinecura solo da chi si abbevera di notizie nei retrobottega degli spacci aziendali. La capacità di relazione, di persuasione e di networking sono un asset immateriale tra i più pregiati per una multinazionale. Specie per un gruppo con stabilimenti sparsi su 4 continenti, che quindi deve gestire i rapporti con una trentina di governi nei cui paesi Stellantis influenzerà consistenti frazioni di Pil e di occupazione.
E qui torniamo al discorso sulla “compera del governo”. Per la gestione dei rapporti con le autorità in giro per il mondo è importante avere alle spalle un governo con marcata autorevolezza internazionale. Quello francese ha credibilità e risorse che alla Farnesina possono solo sognare, ed è in grado di sostenere un gruppo industriale europeo di caratura mondiale.
Insomma il settore automotive italiano con tutto il suo indotto e le sue tecnologie si inserirà in un gruppo globale a trazione politica francese per sottrarsi all’annientamento in un paese in marcato declino economico, con una classe dirigente tendenzialmente ostile all’industria.