Gli Stati Uniti rientrano negli Accordi di Parigi, è ufficiale. E non è l’unico provvedimento che riguarda il clima preso dal neo presidente Joe Biden che, per la prima volta nello studio ovale, ha firmato una quindicina di ordini esecutivi, 13 ordini e due azioni. Oltre ad aver inviato una lettera alle Nazioni Unite, avviando formalmente l’iter per far rientrare gli Usa nell’Accordo entro 30 giorni, Biden ha anche revocato il permesso di costruzione per l’oleodotto Keystone XL, i cui lavori sarebbero dovuti partire la scorsa estate. Quasi 2mila chilometri per trasportare 830mila barili di bitume al giorno dal Canada occidentale fino in Nebraska, dove si sarebbe dovuto collegare al tratto già operativo che arriva fino alle raffinerie del Texas. Ad aprile 2020, però, un giudice ha annullato il permesso per i lavori in Montana, tratto fondamentale per la realizzazione di tutto il progetto, che non aveva tenuto conto dei rischi per le specie protette. Ma Biden ha anche dato disposizioni alle agenzie federali, perché inizi un processo di ripristino delle normative ambientali.

LE NUOVE SFIDE – Insomma, il percorso inverso rispetto a quello fatto da Donald Trump: appena pochi minuti dopo il suo giuramento dal sito internet della Casa Bianca erano sparite le pagine dedicate al cambiamento climatico e alle politiche di Barack Obama e, al loro posto, era comparsa la sezione An American First Energy Plan nella quale veniva ribadita la posizione della nuova amministrazione. Una posizione che si è concretizzata in decine e decine di provvedimenti, alcuni presi anche a ridosso e poco dopo il voto. Si potrà tornare indietro? E, soprattutto, con la sua nuova squadra Biden vorrà (e potrà) davvero smantellare tutto ciò che ha fatto Trump sul fronte ambientale? Il rientro negli Accordi di Parigi è una prima risposta, ma negli ultimi quattro anni sono cambiate molte cose. E ora sono cambiati l’Europa stessa, le relazioni internazionali, la credibilità degli Stati Uniti sul fronte delle politiche climatiche (tutta da ricostruire) e, causa pandemia, le priorità globali.

IL RIENTRO E IL RECUPERO DEI RITARDI – Tra i primi commenti quello del Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres. “Accolgo con grande favore i passi del presidente Biden per rientrare nell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici – ha detto – e unirsi alla crescente coalizione di governi, città, stati, imprese e persone che intraprendono azioni ambiziose per affrontare la crisi climatica”. Ora gli Stati Uniti hanno 30 giorni di tempo per presentare Contributi Nazionali Determinati (Nationally Determined Contributions, NDC), ossia gli obiettivi climatici che si sono dati in maniera autonoma gli Stati aderenti al patto, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di carbonio e mantenere la crescita della temperatura globale entro i 2 gradi Celsius. Entro quel termine, le promesse e i propositi illustrati da Biden in campagna elettorale verranno messi nero su bianco. Se durante il mandato di Obama, sottoscrivendo l’Accordo del 2015, gli Usa si erano impegnati a ridurre entro il 2025 una quota di emissioni pari al 28% rispetto ai livelli del 2005, oggi sono molto lontani da quell’obiettivo: restano responsabili del 14% delle emissioni globali (circa il doppio dell’Europa), secondi dopo la Cina. In campagna elettorale Biden ha annunciato un piano di 2mila miliardi di dollari per incentivare l’energia pulita, costruire 500mila stazioni di ricarica per i veicoli elettrici e nuove case ad alta efficienza energetica. L’obiettivo è quello di raggiungere la carbon neutrality entro il 2050.

IL CAMBIO DI ROTTA E I POSSIBILI OSTACOLI – Biden aveva già annunciato una serie di misure nei primi cento giorni di mandato. E il lavoro non manca, dato che ci sono circa cento regolamenti ambientali da modificare: si va dalle emissioni delle auto all’efficienza energetica degli edifici. Molti di essi vanno semplicemente riportati a come erano prima che Trump vi mettesse mano ma, comunque, dovranno superare l’approvazione di un Congresso molto diverso (e più diviso) rispetto a quello dell’era Obama. Per non parlare dell’ostacolo rappresentato dalle lobby delle industrie e delle fonti fossili che con Trump hanno sempre mantenuto un rapporto di reciproco sostegno. E poi ci sono le relazioni internazionali che negli ultimi quattro anni si sono modificate anche (ma non solo) a causa della politica aggressiva di Trump. E c’è quell’asse Europa-Cina, che oggi gli Usa non possono spezzare. Lo sa bene Biden, che pure ha manifestato la sua contrarietà alla ratifica dell’accordo economico tra Pechino e una Unione Europea impegnata a mantenere un equilibrio. L’altro nodo è quello legato al gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2. Già Trump aveva rimproverato a diversi Paesi Ue la loro dipendenza dal gas russo e varato misure restrittive per colpire le aziende che collaboravano con l’azienda energetica russa Gazprom, parzialmente controllata dallo Stato. A dicembre 2019 una prima tornata di sanzioni aveva fatto desistere la società svizzera impegnata nella posa dei tubi, provocando la sospensione dei lavori per oltre un anno. Proprio in queste ore Anthony Blinken, nominato da Biden segretario di Stato, ha confermato il suo impegno per bloccare il completamento dell’opera ed è prevista a febbraio un’altra stretta che potrebbe colpire diverse società europee. Commentando il rientro degli Usa negli Accordi di Parigi, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha parlato di una “nuova alba negli Stati Uniti”, un momento “che abbiamo atteso a lungo, L’Europa è pronta per un nuovo inizio”. Bisognerà capire se il figliol prodigo sta davvero tornando.

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