Le iscrizioni nel registro degli indagati, nell’inchiesta del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e del pm Luca Gaglio, sono un passaggio obbligato in vista di una nuova consulenza per accertare, come ordinato dal giudice nelle nuove indagini, se ci sia un "nesso" tra il decesso e la "condotta dei sanitari" e se la "malattia" poteva essere diagnosticata prima
A 20 giorni dalla decisione del giudice per le indagini preliminare di Milano di non archiviare l’inchiesta sulla morte di Imane Fadil, la modella marocchina teste nei processi Ruby morta il primo marzo 2019 per un’aplasia midollare, sono arrivate le prime iscrizioni nel registro degli indagati. Si tratta di undici medici dell’Humanitas di Rozzano, nel Milanese, dove fu ricoverata per oltre un mese la giovane donna. Ai medici i pm contestano l’omicidio colposo. Le iscrizioni nel registro degli indagati con informazioni di garanzia per i medici, nell’inchiesta del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e del pm Luca Gaglio, sono un passaggio obbligato in vista di una nuova consulenza per accertare, come ordinato dal gip nelle nuove indagini, se ci sia un “nesso” tra il decesso e la “condotta dei sanitari” e se la “malattia” poteva essere diagnosticata prima. Imane Fadil, su questo però non ci sono dubbi fu uccisa dalla aplasia midollare: una patologia che può essere congenita o acquisita a seguito di esposizione a sostanze agenti chimici, radiazioni ionizzanti o virus.
A metà settembre 2019, dopo mesi di complessi accertamenti, gli inquirenti avevano stabilito che Fadil era stata stroncata da questa malattia rara diagnosticata tre giorni prima di morire nella clinica milanese. Subito dopo la morte, il primo marzo di due anni fa, gli esiti di alcune analisi avevano destato non poco allarme e si creato una serie di domande e dubbi tanto che l’inchiesta era stata aperta per omicidio volontario. L’ipotesi, poi smentita dai successivi accertamenti, era avvelenamento con sostanze radioattive o metalli pesanti. Ipotesi che allora aveva anche un senso per via di una telefonata in cui la ragazza al suo legale dell’epoca aveva spiegato: “Volevano farmi fuori”.
La Procura milanese, all’esito delle complesse indagini, aveva chiesto di archiviare l’inchiesta escludendo anche responsabilità mediche. Nell’istanza di opposizione discussa in udienza nel febbraio del 2020, i legali dei familiari, gli avvocati Mazzali e Nicola Quatrano, avevano indicato al giudice la necessità di disporre tutta una serie di nuove “valutazioni peritali”, anche sulle presunte responsabilità dei medici nelle terapie, a loro dire, sbagliate e sulla diagnosi non tempestiva. Il gipa aveva quindi fissato un termine di 6 mesi per le nuove indagini restituendo gli atti ai pm.
“Humanitas esprime ferma convinzione dell’assenza di responsabilità a carico dei professionisti che si sono prodigati nelle cure di Imane Fadil, esprimendo un’altissima competenza professionale e appropriatezza delle cure. A seguito delle decisioni del gip – si legge nella nota – gli avvisi di garanzia ora emessi dalla Procura consentiranno ai sanitari coinvolti di meglio dimostrare la linearità dei loro atti, anche grazie al contributo di propri consulenti tecnici. Da subito l’Istituto – spiega Humanitas – ha collaborato alle indagini e ha fornito tutti i chiarimenti necessari all’Istruttoria, al punto che i pm avevano chiesto l’archiviazione del caso non ravvisando alcuna colpa medica”.