Ai bambini confinati a Lesbo va dato qualcosa in più di un po’ di pur volenterosa solidarietà, in considerazione del fatto che il “lazzaretto” apparecchiato dall’Ue sull’isola greca non è senza colpevoli. Bensì, come ho potuto constatare con i miei occhi, è il frutto malato di politiche errate e di comodo, che sono andate nella direzione dell’approssimazione: con il risultato che in quell’isola, che diede i natali alla poetessa Saffo, si muore, o si sopravvive in modo indegno, o si assiste a violenze e soprusi nel silenzio generale.
Spariscono bimbe e bimbi, ci si prostituisce per 5 euro, governano i clan, si soffre senza protezione alcuna di diritti elementari: la Grecia è stata lasciata sola a portare un peso che meriterebbe invece, in virtù della sua eccezionalità, il sostegno di tutti gli Stati membri. Ma se già negli anni scorsi in pochi se ne sono occupati, figuriamoci oggi con la crisi sanitaria e quella economica che premono sulle cancellerie europee.
Certo, l’appello di Avvenire è come un stella in una notte buia e va appoggiato, ma non in modo pilatesco. Chi ha scelto Lesbo come baule dove rinchiudere le vergogne che nessuno vuol vedere dovrebbe assumersene quantomeno la responsabilità, morale e materiale, altrimenti si rischia di innescare un dibattito surreale dove ci si indigna genericamente per uno status che non è casuale, ma orientato da scelte e mosse.
Né si possono addurre le motivazioni che riguardano “la mancanza di poteri dell’Ue in materia di immigrazione e asilo”, come osservato dal Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli: non è così che la politica riuscirà a passare dalle intenzioni programmatiche al reale indirizzo pratico.
La decisione europea di concludere un accordo milionario con la Turchia di Erdogan per tenere segregati su suolo turco 5 milioni di siriani ha avuto come appendice anche il lazzaretto di Lesbo, che non deve essere scoperto oggi visto che è lì, nella sua drammatica e tragica interezza, ormai da anni.
Risale all’aprile 2016 la visita di Papa Francesco a Lesbo, proprio al fine di accendere un fascio di luce su una vergogna assoluta: il campo profughi di Mòria è stato poi dato alle fiamme, ma senza che la comunità internazionale se ne sia sentita investita. Poi nuovi campi, nuove tende, nuovi spazi hanno solo stemperato per poche ore il dramma che resta lì e di cui oggi leggiamo, accanto ad utili appelli costruttivi e generici impegni della politica.
E’ stato un errore consentire che a Lesbo, a fronte di una capienza da 3000 ospiti, ne vivessero poi 12mila; è stato un errore da parte dell’Ue dimenticarsene e scaricare su Atene la gestione; è stato un errore non immaginare soluzioni alternative, come hotspot sulla terraferma da un lato e pressioni su Ankara dall’altro. La sola presa atto di una contingenza allucinante come quella in cui si trovano i bimbi a Lesbo non è purtroppo sufficiente né a sopire sofferenze e drammi, né a costruire quel ponte tra politica e solidarietà che oggi appare crollato.
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