Antonio Ciontoli e Selvaggia Lucarelli. Un faccia a faccia, campo e controcampo, per un’ora e mezza sull’omicidio di Marco Vannini, con Ciontoli con un finale che farà molto discutere. S’intitola L’ultima difesa, un format realizzato da Loft Produzioni che andrà in onda sabato 23 gennaio 2021 alle 21.25 su Nove. Lucarelli, in questa intervista esclusiva, ha sottoposto colui che è stato giudicato nell’ultimo processo d’appello bis, il colpevole dell’assassinio di Marco Vannini (avvenuto la notte tra il 17 e il 18 maggio del 2015) e condannato a 14 anni di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale, a un fuoco di fila di domande, ricostruendo cinque anni di interrogativi logici, indignazione pubblica e dibattimenti processuali. Anche se al centro della lunga intervista rimane l’accanimento mediatico verso la famiglia Ciontoli tra odio online, fantomatiche suggestioni e pedinamenti fisici ai familiari, condannati anch’essi, moglie, figlio e figlia, nell’ultima sentenza del settembre 2020, a nove anni di carcere per concorso anomalo in omicidio. Lucarelli pone subito le cose in chiaro: “Siamo tutti dalla stessa parte di Marco Vannini”. E precisa che erano stati invitati anche i genitori del ragazzo ucciso per un confronto con Ciontoli, ma che Marina e Valerio hanno declinato l’invito. “Giustizia è stata fatta?”, chiede l’intervistatrice dopo che sono stati ricordate le pene inflitte ai Ciontoli dopo l’appello bis. E Ciontoli risponde: “Certamente no, perché i miei figli sono assolutamente innocenti, vittime dei miei grossi errori e del mio comportamento di quella maledetta sera”. Tutte le piste d’indagine vengono ricostruite appoggiandosi anche a quella famosa videoregistrazione (di circa cinque ore, ndr) avvenuta nell’anticamera dell’ufficio della caserma dei carabinieri di Civitavecchia dove i figli di Ciontoli, Martina e Federico, e Viola, la fidanzata del primogenito, parlano di ciò che è accaduto quella sera credendo di non essere ascoltati. Il confronto Lucarelli/Ciontoli è serrato. Si passa dalla presunta gelosia del figlio Federico verso Marco alla confutazione della mancata affettività di Martina verso il proprio fidanzato ucciso; dalla dinamica dello sparo omicida all’incapacità di riconoscere la gravità delle conseguenze immediate del gesto con il ragazzo agonizzante. Ciontoli ripete più volte il termine “odioso”, riferendosi al comportamento tenuto la drammatica sera del 2015 e alla sua omertà nel fingere momentaneamente davanti ai sanitari e alla famiglia stessa che non stava accadendo nulla di grave. “Devo pagare per quello che ho fatto”, spiega più volte il condannato. Ma è sull’allargamento della colpa che Ciontoli frena e passa alla difesa.
Enumerando l’odio dell’opinione pubblica contro i suoi familiari, soprattutto contro Martina, protagonista di un appello su change.org che raccolse 78mila firme dove si chiedeva di radiarla dall’albo degli infermieri, per dire: loro non c’entrano, prendete me. Ed è proprio quando Lucarelli ipotizza il giudizio della Cassazione con un’ipotetica ed ulteriore condanna dei suoi familiari alla galera che Ciontoli scoppia in lacrime. “Non potrei accettarla (…) a quel punto la mia vita non avrebbe più senso”. Lucarelli sottolinea che è una risposta ricattatoria, ma l’uomo continua: “Io non so ancora come mia moglie e mia figlia fanno a parlarmi, io ho rovinato la mia famiglia”. Poi ricorda che prende psicofarmaci e che è in cura psichiatrica, ma che “non c’è rimedio medico, perché nessuno può alleggerire questo dolore”. Sul finale un pensiero anche su Marco Vannini. “Molti diranno che lei sposta il dolore su di sé, ma lei non è la vittima perché Marco è al cimitero”, afferma Lucarelli. A quel punto Ciontoli prova a ricordare Marco in un presente impossibile: “Oggi sarebbe un militare giocherellone con tanta voglia di vivere”.