La sentenza del Tribunale di Potenza sull’ex pm Emilio Arnesano, arrestato il 6 dicembre 2018. Condannata a 1 anno e 4 mesi l'avvocata Manuela Carbone, 3 anni e 8 mesi all’ex direttore generale Ottavio Narracci e 5 anni per Carlo Siciliano, responsabile di Medicina del Lavoro dell’ospedale leccese
È stato condannato a 9 anni di reclusione l’ex pubblico ministero di Lecce, Emilio Arnesano, arrestato nell’inchiesta “favori e giustizia” che svelò il presunto “aggiustamento” di indagini e processi in cambio di regali, favori e prestazioni sessuali. Arnesano è stato riconosciuto colpevole insieme a Manuela Carbone giovane avvocata leccese condannata a 1 anno e 4 mesi con la sospensione della pena perché in cambio di un incontro a sfondo sessuale aveva chiesto l’intervento del magistrato per neutralizzare un procedimento disciplinare aperto dall’ordine degli avvocati nei suoi confronti.
Condannati anche gli ex vertici dell’Asl salentina: 3 anni e 8 mesi all’ex direttore generale Ottavio Narracci e 5 anni per Carlo Siciliano, responsabile di Medicina del Lavoro dell’ospedale leccese. Per Narracci l’accusa è di aver corrotto il magistrato per pilotare un processo nel quale era accusato di peculato. In cambio dei suoi interessamenti a favore dei due medici, Arnesano avrebbe ottenuto gratuitamente due battute di caccia e uno sconto di 17mila sulla barca di dieci metri comprata da Siciliano oltre all’assunzione per un certo periodo di parenti e amici dell’ex magistrato.
Il procuratore di Potenza Francesco Curcio e il sostituto Anna Piccininni, compteneti sui reati commessi da magistrati del distretto di Lecce, Brindisi e Taranto, avevano chiesto al tribunale la condanna a ben 12 anni e 6 mesi di carcere per l’ex magistrato.
Nella sua requisitoria Curcio aveva spiegato che questo processo nei confronti di un collega era “un’occasione per salvare l’onore della magistratura” scalfito da una serie di distorsioni che ne affliggono il ruolo e il prestigio. Distorsioni che “gli Arnesano”, come li aveva definiti il capo della procura potentina, utilizzano nel proprio interesse: mele marce che, secondo Curcio, “ci sono, ci sono stati, probabilmente continueranno ad esserci” anche per colpa di chi all’interno della magistratura ha scelto di “voltare la testa dall’altra parte” favorendo “un certo modo corporativo di intendere il nostro mestiere” che diventa “il terreno, il sostrato su cui Arnesano e gli Arnesano possono delinquere”.
Per Curcio, tuttavia, è il sistema che ormai mostra i suoi limiti. “I reati commessi da Arnesano – aveva detto il 28 novembre scorso – sono, a mio avviso, la perfetta espressione di un modo di intendere l’attività di magistrato, che ha come ricadute quasi inevitabili quelle che abbiamo visto durante questo processo: intendere l’attività di magistrato come la conquista di una postazione. Era un termine che usavano alcuni politici su cui indagai tanti anni fa. ‘Dammi questa postazione a me; dai quest’altra postazione a un altro’. Questa logica, purtroppo, in alcuni casi, e non poniamo un freno sempre più frequentemente, è una logica che sta diventando di alcuni colleghi, sfruttando un sistema che non funziona più. Arnesano – aveva aggiunto Curcio – conquista una posizione, non è mosso più da alcuna non dico spinta ideale, ma da nessun rigore morale, da nessun interesse per l’attività che svolge, da nessun amore per le cose che fa, per le carte che deve studiare”.
La sentenza emessa dal tribunale lucano, inoltre, contiene anche una serie di assoluzioni: l’ex primario del Vito Fazzi di Lecce Giuseppe Rollo, inizialmente accusato di aver garantito al pm Arnesano corsie preferenziali per visite specialistiche in cambio di favori ben più grossi come l’archiviazione di un fascicolo per lesioni a carico del medico e l’interessamento per un’altra inchiesta simile alla prima. Assolti come richiesto dalla procura anche l’avvocato Augusto Conte, che sarebbe stato avvicinato da Arnesano per chiudere l’affare Carbone, l’avvocatessa Federica Nestola e l’avvocato Mario Ciardo: Arnesano avrebbe “sistemato” l’esame per l’iscrizione all’albo degli avvocati della Nestola ottenendo da Ciardo, componente della Commissione dell’esame di Stato nel 2017, la traccia di una materia della prova orale. La donna, anche in questo caso, secondo l’accusa aveva offerto in cambio prestazioni sessuali. Le indagini svelarono come nell’ufficio del pm ci fu un incontro fra lui, Ciardo e Nestola in cui furono “definite le domande” da porre alla candidata. La procura tuttavia, è stata costretta nonostante gli elementi ritenuti schiaccianti nei loro confronti a causa dell’inutilizzabilità delle intercettazioni nel processo.