Le associazioni dei freelance chiedono di bloccare l’aumento dei contributi previsto per finanziare la nuova "cassa integrazione per gli autonomi", che prevede requisiti molto restrittivi. E di rivedere tutto il sistema di protezione sociale dei lavoratori autonomi. Elena Mari, guida turistica all'ottavo mese di gravidanza: "Non ho chiesto la maternità perché sono ferma dal lockdown e con le regole attuali non mi spetta quasi nulla". Maria Angela Silleni: "A fine in marzo sono stata in isolamento per sospetto Covid. Un dipendente avrebbe avuto diritto alla malattia, io no"
Non solo la beffa di quella che è stata presentata come “cassa integrazione per gli autonomi“, che andrà a pochissime persone e per tutte le altre determinerà un aumento dei contributi da pagare. Nel welfare delle partite Iva c’è un altro buco, non nuovo: le indennità di maternità e malattia garantite dall’Inps coprono solo chi nei 12 mesi precedenti ha versato a sufficienza. Ma per versare occorre fatturare. Con la pandemia e il lockdown tante categorie, dalle guide turistiche agli interpreti fino al mondo dell’organizzazione di eventi, hanno lavorato pochissimo o nulla. Così ora questi lavoratori si ritrovano senza tutele. “Questo nonostante la gestione separata Inps per la parte relativa all’assistenza sia in forte attivo“, racconta a ilfattoquotidiano.it Anna Soru, presidente dell’associazione dei freelance Acta che analizzando il rendiconto 2019 dell’istituto ha rilevato come a fronte di 161 milioni di euro versati le indennità erogate tra indennità, malattia e congedi si siano fermate a poco più di 15 milioni.
Numeri alla mano – includendo anche la parte pensionistica nel 2019 la Gestione separata ha registrato un attivo di oltre 7 miliardi – Acta ha lanciato la campagna #RidateciLaTorta. Con cui chiede tra l’altro di bloccare l’aumento dei contributi previsto per finanziare la nuova indennità Iscro, massimo 800 euro al mese per sei mesi riservati peraltro a chi nel 2020 abbia avuto redditi sotto gli 8.145 euro, un limite inferiore alla soglia di povertà assoluta in gran parte d’Italia. Posizione condivisa dal Coordinamento libere associazioni professionali (Colap), che è stata l’unica sigla a opporsi fin dall’inizio all’Iscro e alla ministra Nunzia Catalfo ha chiesto che “nel peggiore dei casi” l’aumento sia facoltativo. Cioè debba accollarselo solo chi vuole avere la possibilità di accedere all’indennità. Anche perché è vero che per quest’anno gli autonomi che hanno avuto rilevanti cali di fatturato avranno diritto all’esonero contributivo, ma “se non saranno previsti contributi figurativi il rischio è di perdere un anno di anzianità contributiva e avere un montante più basso quando andremo in pensione”, spiega la presidente del Colap Emiliana Alessandrucci.
Secondo le associazioni è tutto il sistema di protezione sociale dei lavoratori non dipendenti a dover essere rivisto, perché con le regole attuali chi è stato colpito più duramente dalla crisi resta scoperto. E si parla di lavoratori spesso discontinui e con redditi già in precedenza molto bassi: 15.500 euro medi nel 2019, per gli iscritti in maniera esclusiva alla gestione separata. Elena Mari, guida turistica a Roma, lo sta provando sulla sua pelle. E’ all’ottavo mese di gravidanza ma la maternità non l’ha nemmeno chiesta perché spera in una modifica dei parametri. Se nulla cambiasse, l’indennità verrebbe calcolata solo sui contributi versati negli ultimi 12 mesi, che sono stati tragici. “Sono ferma fin dal lockdown. Il mercato dei turisti stranieri è scomparso totalmente e anche in estate di lavoro ce n’è stato pochissimo, quindi di fatto ho fatturato solo a gennaio e febbraio”. Nel frattempo è arrivato il bonus di 600 euro per marzo e aprile, ma “quello di 1000 per il mese di maggio non sono riuscita a ottenerlo: i parametri sul calo dei ricavi nel secondo bimestre erano troppo restrittivi. In dicembre per fortuna sono arrivati i contributi del Mibact per noi guide, un po’ più corposi”. Ora si avvicina al parto “con la sensazione che mi neghino un diritto, visto che pago regolarmente l’Inps da 10 anni. La disparità rispetto a una lavoratrice dipendente è abissale”.
Per Maria Angela Silleni, redattrice esterna nel campo dell’editoria libraria, la certezza di essere meno tutelata rispetto a quanti hanno un datore di lavoro è arrivata invece già all’inizio della pandemia: “A fine marzo dopo un consulto telefonico, il medico di base mi ha diagnosticato un sospetto Covid dandomi 14 giorni di malattia e isolamento fiduciario e segnalandomi all’azienda sanitaria per il tampone”. A quel punto inizia la corsa a ostacoli: la prima richiesta di malattia domiciliare all’Inps viene respinta “perché anche il 2019 non era stato un anno buono e avevo versato i contributi solo per i primi tre mesi, in attesa del saldo. Quindi nei 12 mesi precedenti la malattia risultavo scoperta“. A maggio presenta la dichiarazione dei redditi e versa il dovuto all’Inps, che riesamina e accetta la domanda. “Ma i soldi non sono mai arrivati. Perché l’Ats, nel caos di quelle prime settimane, non mi ha fatto il tampone, per cui il mio caso è rimasto solo “sospetto”. E mentre per i dipendenti quella situazione è stata equiparata a qualsiasi altra malattia, noi siamo stati esplicitamente esclusi“.
“In effetti c’è una grande sperequazione rispetto ai dipendenti, che anche se sono finiti cig non subiscono conseguenze pesanti sul fronte delle indennità”, conferma Luca Caratti, consigliere della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. “Per i cinque mesi di maternità hanno diritto ad un’indennità giornaliera in misura pari all’80% di 1/365 del reddito da attività di collaborazione coordinata e continuativa o libero professionale dei 12 mesi precedenti, a patto di avere almeno una mensilità di contribuzione: se con l’emergenza Covid hanno lavorato poco perdono moltissimo. Anche per la malattia occorre almeno un mese di versamenti negli ultimi 12 e il valore giornaliero della prestazione si riduce al diminuire delle mensilità accreditate”. Paletti a fronte dei quali i professionisti iscritti alla gestione separata, in attesa dell’aumento previsto per finanziare l’Iscro, “versano già un’aliquota contributiva del 25,72%, tutta a loro carico salvo l’eventuale rivalsa in fattura che si ferma comunque al 4%”.
Il sistema attuale, infine, comporta anche che le indennità arrivino tardi rispetto al momento in cui il freelance ne avrebbe bisogno. “Spesso i contributi sui redditi dei 12 mesi precedenti non sono ancora stati versati, quindi l’Inps non ha un quadro completo e calcola solo un acconto”, spiega Samanta Boni di Acta. “Così nel momento di necessità si riceve una cifra molto bassa e dopo un anno o più si deve chiedere il conguaglio”. Per rimediare “basterebbe tener conto dei redditi di due anni prima”, ormai cristallizzati. “Ma sono anni che solleviamo il problema senza risultati. E ora con il Covid saranno sempre di più i lavoratori che scopriranno di non aver diritto a nulla a causa dei buchi contributivi del 2020″. Alessandrucci del Colap aggiunge che invece di un intervento come l’Iscro, che “per come è strutturato rappresenta più un incentivo alla chiusura che un vero sostegno”, sarebbero più utili politiche attive che aiutino a investire in formazione e digitalizzazione, insomma riqualificarsi per tenere il passo. Un esempio? “Iniziamo con il destinare lo 0,30% dei nostri contributi previdenziali ai fondi interprofessionali, come avviene per i lavoratori dipendenti, in modo da facilitare l’accesso alla formazione finanziata”. Anche questa proposta è sulla scrivania della ministra Catalfo.