Secondo la Sogin ritardare la costruzione costerebbe “tra 1 e 4 milioni di euro annui per ciascun sito (in Italia ce ne sono a decine, ndr)". Ogni anno lo Stato spende 60 milioni per stoccare all’estero parte dei rifiuti. L'iter per decidere il luogo sarà comunque lungo: 44 mesi di consultazione pubblica, “la più grande degli ultimi anni”, ha detto il ministro Costa
Per capire se e quanto sia necessaria la realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi è importante sapere quali scorie produce il nostro Paese e dove si trovano. Perché sebbene le ultime centrali attive in Italia siano state chiuse tra il 1988 e il 1990, sono decine i centri che producono rifiuti più o meno radioattivi e altrettanti i depositi temporanei dove vengono stoccati. Soprattutto è importante capire quanto è costata la loro gestione e quanto ancora ci costerà. Come sottolineato dal ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, infatti, quella appena avviata è “la più grande consultazione pubblica degli ultimi anni”, che fa parte di “un processo che durerà almeno 44 mesi, circa tre anni e mezzo e che – assicura – con estrema trasparenza coinvolgerà amministratori, università, associazioni di categoria e tutti i cittadini”.
L’ITER – Dopo la pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), avvenuta il 5 gennaio, sulla carta per almeno due mesi si potrà consultare la documentazione, ma è quasi certo che verranno prorogati i termini attraverso un emendamento al Milleproroghe. Questo dovrebbe far slittare anche il seminario nazionale (che avrebbe dovuto essere organizzato nel giro di quattro mesi) con la partecipazione di enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca, nel corso del quale saranno esaminati tutti gli aspetti legati al deposito. In base ai risultati del seminario, Sogin aggiornerà la Cnapi e la nuova versione verrà sottoposta ai pareri dei ministeri dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente e delle Infrastrutture, e dell’ente di controllo Isin. A quel punto il Mise preparerà la versione definitiva del documento, la Cnai (Carta Nazionale delle Aree Idonee). Spetterà al governo scegliere il sito definitivo. Secondo la Sogin, la società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, i cui costi sono coperti dalla bolletta elettrica, per realizzare il deposito saranno necessari quattro anni di cantieri. La struttura occuperà 150 ettari: 110 per il deposito e 40 per un parco tecnologico dedicato a ricerca e formazione.
LA CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI RADIOATTIVI – Ma quali scorie ospiterà? A seconda della concentrazione di radionuclidi e del tempo necessario perché ne decada la radioattività, i rifiuti radioattivi si distinguono in cinque categorie: quelli a vita media molto breve che, dopo aver perso la loro radioattività residuale, si smaltiscono come i rifiuti convenzionali, quelli radioattivi a bassissima e bassa attività (che raggiungono nell’arco di 300 anni un livello di radioattività non più pericolo per la salute e l’ambiente) quelli a media e alta attività (che perdono la radioattività in migliaia o centinaia di migliaia di anni). A seconda della categoria si prevedono diverse modalità di deposito.
I DIVERSI TIPI DI DEPOSITO – Quello oggetto della consultazione è un deposito definitivo di superficie, con barriere di norma realizzate con strutture in calcestruzzo armato che ospitano i manufatti dei rifiuti radioattivi. Nel deposito verranno smaltite solo le scorie a bassa e molto bassa attività (78mila metri cubi) prodotte finora nel nostro Paese (33mila metri cubi) e che lo saranno nei prossimi 50 anni (45mila). Circa 50mila metri cubi di questi rifiuti derivano dall’esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari per la produzione di energia elettrica, altri 28mila dagli impianti nucleari di ricerca e dai settori della medicina nucleare e dell’industria. E per i rifiuti a media e alta attività? Normalmente la loro destinazione è un deposito temporaneo di lunga durata, che consente di stoccare in sicurezza soprattutto quelli che arrivano da siti nucleari. Nel caso dell’Italia, come avviene in Svizzera, Svezia e Paesi Bassi, queste scorie verranno stoccate in un’apposita struttura centralizzata, sempre all’interno del deposito, il Centro Stoccaggio Alta attività (CSA), ma in contenitori altamente schermanti, come i cask, adatti al trasporto e allo stoccaggio. Qui resteranno per un lungo periodo circa 17mila metri cubi, tra cui quei 400 metri cubi di residui del riprocessamento del combustibile nucleare esaurito inviato attraverso accordi internazionali in Francia e nel Regno Unito, dove ci sono impianti all’avanguardia per la separazione delle componenti, e che ora dovranno rientrare in Italia. Nel complesso, dunque, nel deposito nazionale saranno stoccati 95mila metri cubi di rifiuti radioattivi. I rifiuti a media e alta attività (quelli nel CSA), però, dopo alcuni decenni, dovranno essere trasferiti in un deposito geologico di profondità, struttura realizzata nel sottosuolo, di solito a diverse centinaia di metri di profondità, per consentire l’isolamento dei radionuclidi dall’ambiente anche per centinaia di migliaia di anni.
I LIMITI DEI DEPOSITI TEMPORANEI – In attesa di un deposito definitivo di superficie, però, le scorie prodotte in Italia si trovano in depositi temporanei, molti dei quali (progettati per essere operativi 50 anni) sono saturi, vecchi e richiedono periodici e costosi interventi di manutenzione. In Italia sono decine i centri che producono o dove sono stoccati temporaneamente rifiuti radioattivi. Una ventina i depositi temporanei maggiori, tra cui gli otto siti nucleari attivi fino alle fine degli anni ’80: le centrali di Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta), l’impianto Fabbricazioni Nucleari di Bosco Marengo (Alessandria) e i tre impianti di ricerca sul ciclo del combustibile di Saluggia (Vercelli), Casaccia (Roma) e Rotondella (Matera).
I COSTI – Secondo la Sogin ritardare la costruzione del deposito nazionale costerebbe, solo per esercizio e manutenzione “tra 1 e 4 milioni di euro l’anno per ciascun sito, senza tener conto dei costi dell’eventuale realizzazione di nuovi depositi temporanei”. L’investimento di circa 900 milioni di euro per realizzare deposito e parco tecnologico sarà finanziato dalla componente tariffaria A2RIM (ex componente A2) della bolletta elettrica, che già copre i costi dello smantellamento degli impianti nucleari, mentre per la gestione degli altri rifiuti (come quelli medicali) il finanziamento avverrà attraverso una tariffa di conferimento, che i produttori privati corrisponderanno all’esercente del deposito per lo smaltimento. Va detto che, dal 2001 al 2018, dei 3,7 miliardi di euro pagati dai consumatori in bolletta, solo 700 milioni sono stati spesi nello smantellamento, realizzando fino al 2018 solo un terzo del programma. Il resto è andato ai costi di gestione e per far trattare il combustibile radioattivo in Francia e nel Regno Unito. Ogni anno lo Stato spende 60 milioni di euro per stoccare all’estero parte dei rifiuti nucleari. Dopo il rinnovo del cda a dicembre 2019, il 30 giugno 2020 Sogin ha presentato l’aggiornamento del programma 2020-2035 dei suoi cantieri per smantellare le centrali: oltre 2,3 miliardi di euro nei prossimi quindici anni nell’ambito di un piano che ne vale 7,2.
UNO SGUARDO FUORI DAI CONFINI – Sebbene nella relazione stilata nel 2019 la Commissione europea abbia sottolineato i ritardi di diversi Paesi, non c’è dubbio che l’Italia, come Austria e Croazia, ne abbia accumulati di più, arrivando alla procedura di infrazione attivata a ottobre 2020. L’Europa deve fare i conti con 3,5 milioni di metri cubi di scorie da gestire (solo i reattori in funzione sono 126) e una previsione di raddoppio per quelli a bassissima radioattività. In Ue sono operativi diversi depositi definitivi di superficie: quelli di El Cabril (Spagna), Dukovaný (Repubblica Ceca), Mochovce (Slovacchia), Drigg (Regno Unito) e di L’Aube, in Francia, operativo dal 2012 e progettato per ospitare un milione di metri cubi di rifiuti ad attività molto bassa. Il deposito spagnolo è attivo dal 1992 e può ospitare 42mila metri cubi di rifiuti a bassa attività. Sono in fase di realizzazione altri due depositi di questo tipo, a Dessel (Belgio) e a Vrbina (Slovenia). Simili al Centro Stoccaggio Alta attività sono il deposito Habog, nei Paesi Bassi, quello della Zwilag, in Svizzera e il deposito temporaneo centralizzato in realizzazione a Villar de Cañas (Spagna). L’unico deposito geologico di profondità in esercizio si trova a Carlsbad, in New Mexico e ospita rifiuti del settore militare. In Europa, tuttavia, Svezia e Finlandia hanno individuato il sito, mentre in Francia il deposito è stato localizzato a Bure ed è in corso la fase di licensing. Germania, Regno Unito, Repubblica Ceca, Svizzera e Ungheria hanno avviato il processo di localizzazione. Considerati gli elevati costi di realizzazione, alcuni Paesi europei (tra cui l’Italia) con quantità limitate di rifiuti a media e alta attività stanno valutando l’opportunità di costruire uno o più depositi di profondità condivisi.