Le dimissioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, attese nel Consiglio dei ministri in programma per martedì mattina, si incrociano con il rischio che l’Italia partecipi alle Olimpiadi di Tokyo senza bandiera. Il 27 gennaio, infatti, cioè nel day after della probabile apertura della crisi, è attesa la decisione del Comitato olimpico internazionale sulla sospensione del Coni: una questione che va avanti da due anni e che riguarda la mancata autonomia dell’ente dopo la riforma della governance voluta dal governo gialloverde. Per sanare la situazione, evitando al nostro Paese la figuraccia planetaria, l’esecutivo ha fatto sapere che a margine del Cdm dovrebbe essere approvato un decreto ad hoc. Il provvedimento è rimasto a lungo nei cassetti di Palazzo Chigi per resistenze all’interno della maggioranza, ma ora i tempi sono scaduti e il dossier non è più rinviabile. Se il Coni non dovesse tornare alla sua indipendenza, infatti, così come prescrivono le regole internazionali del Cio, l’Italia sarebbe destinataria di una misura che finora è stata applicata alla Bielorussia del dittatore Lukashenko o alla Russia degli scandali del doping.
La vicenda nasce con la famosa riforma dello sport, avviata dal governo gialloverde e conclusa da quello giallorosso. Il punto critico riguarda il personale e i beni del Coni, in passato affidati alla sua azienda Coni Servizi: con la trasformazione di quest’ultima nella società Sport e Salute su volontà dell’ex sottosegretario Giancarlo Giorgetti, oggi dipendono dal governo. Di rivedere lo schema di governance se n’è parlato ininterrottamente per un anno e mezzo e alla fine la riforma è stata approvata monca. Ok a lavoro sportivo, professionismo femminile, stadi, sicurezza sulla neve, ma non al “decreto n. 1”, quello sulla governance appunto. Pd e Italia Viva chiedevano di restituire tutto al Coni, il M5s pretendeva almeno una incompatibilità che costringesse Giovanni Malagò a scegliere fra il suo terzo mandato al Foro Italico e la presidenza delle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026. Non se n’è fatto nulla, e il problema è rimasto irrisolto fino ad ora.
Di fronte all’imminente decisione del Cio, nel corso della giornata si sono moltiplicati gli appelli al governo a fare presto, nonostante la crisi politica in atto. “Si adotti rapidamente un decreto che restituisca al Coni la dovuta autonomia. Non c’è più tempo da perdere”, ha scritto in una nota il presidente della commissione Istruzione, del Senato, Riccardo Nencini. Dello stesso avviso Italia viva, così come Giovanni Malagò. “La situazione sportivamente parlando è drammatica ma si può ancora risolvere, fino al 27 gennaio, quando ci sarà l’esecutivo del Cio, abbiamo tempo per farlo”, ha avvertito in un comunicato, sollecitando un intervento immediato. “Confido che nelle prossime ore il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, di concerto con il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, si faccia carico, con una norma o un decreto per garantire, attraverso il riconoscimento della pianta organica e del ruolo del Coni stesso, l’autonomia richiesta dal Cio in ossequio agli impegni contenuti nella Carta Olimpica”, ha fatto sapere il deputato dem Andrea Rossi. “Sono convinto che l’Italia riuscirà a partecipare alle prossime Olimpiadi con il proprio inno e bandiera e che potrà svolgere regolarmente i Giochi olimpici del 2026”, l’auspicio del pentastellato Simone Valente. “Una soluzione al nodo della governance sportiva può e deve essere trovata”.