Al 25 gennaio ci sono ancora 500 persone che attendono i primi pagamenti diretti della cassa integrazione per domande presentate tra marzo e settembre. Pratiche che però presentano “problematiche complesse, alcune delle quali possono riguardare fattispecie non autorizzabili“. In generale, su 3,5 milioni di domande di cassa per Covid presentate dalle aziende il 97,3% è stato accettato, 271mila sono state respinte e 88mila sono ancora in lavorazione, 60mila delle quali presentate tra dicembre e gennaio. Il numero di pagamenti effettuati è 16,9 milioni a fronte di 17,2 milioni di domande: sono in lavorazione pagamenti per 293mila prestazioni di cui 252mila giunte a gennaio. Non significa però che siano coinvolti altrettanti lavoratori: si tratta infatti spesso di mensilità che spettano alla stessa persona.

I dati arrivano dall‘Inps, che sottolinea come “il numero di lavoratori coinvolti nelle domande in lavorazione non può essere determinato fino a quando non pervengono dalle aziende gli SR41, e non può essere 1,2 milioni come oggi il quotidiano Repubblica erroneamente sostiene, basandosi su una stima priva di metodo”. Nel complesso, l’Inps ha gestito ad oggi oltre 17 milioni di operazioni di pagamenti diretti a 3,6 milioni di lavoratori e oltre 10 milioni di pagamenti a conguaglio dopo anticipo alle aziende per 3,4 milioni di lavoratori, con un esborso complessivo di quasi 20 miliardi di euro (solo per la cassa Covid).

Riguardo all’auspicio di Guglielmo Loy, presidente del Civ, il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps, secondo il quale “c’è un miglioramento rispetto a inizio pandemia ma due mesi di attesa in media sono eccessivi, occorre dimezzare”, l’istituto fa sapere che “la gestione delle domande e dei pagamenti della cassa integrazione guadagni richiede normalmente in media 8-10 settimane di lavorazione, dovute ad una prima fase in cui l’azienda fa domanda di accesso alle varie forme di CIG rispetto ai decreti che l’autorizzano e, dopo i controlli che ne verificano il diritto e per ogni singola azienda, Inps approva, e ad una seconda, per attendere dall’azienda la dichiarazione delle effettive ore non lavorate per ciascun lavoratore nel mese e procedere, se la comunicazione è corretta nei suoi riferimenti, ai pagamenti al lavoratore”. Quindi se un decreto del governo autorizza la Cig Covid per novembre e dicembre, “i pagamenti non possono arrivare ai lavoratori prima di febbraio-marzo. Stante la tempistica, profondamente diversa dai meccanismi dei bonus, le attese dei pagamenti per i lavoratori sono differite rispetto al periodo non lavorato”.

Loy a Repubblica ha anche detto che “c’è un buco di quasi 16 miliardi nel bilancio Inps, creato proprio dalla Cig Covid. Il legislatore dovrebbe intervenire prima di mettere a rischio la sostenibilità e dunque le prestazioni di Inps”. Osservazione in realtà non molto diversa da quella fatta in occasione dell’approvazione dell’assestamento al bilancio 2020 e che non significa che le pensioni e le altre prestazioni siano a rischio. “Non esiste alcun allarme per il pagamento delle pensioni e delle altre prestazioni“, conferma l’istituto, “che possono essere finanziate attingendo, sulla base di vari strumenti che le legge mette a disposizione, a risorse dello Stato. Nel corso del 2020, il legislatore ha previsto che Inps finanziasse con proprie risorse finanziarie alcune delle misure economiche finalizzate al contrasto degli effetti economici della pandemia (cassa integrazione ordinaria, assegno di solidarietà, Naspi, indennità di malattia, ecc.). Al contempo, inevitabilmente si sono registrate minori entrate contributive per effetto della contrazione delle attività produttive e del rinvio dei termini di pagamento dei contributi introdotto allo scopo di venire incontro alle esigenze finanziarie delle aziende e dei lavoratori autonomi”. Per consentire il monitoraggio della propria situazione finanziaria, l’Istituto trasmette costantemente al Ministero dell’Economia l’andamento dei pagamenti e delle riscossioni.

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