Il primo avvertimento dell’Istituto superiore di sanità alla Lombardia riguardo a un errore nella trasmissione dei suoi dati sui casi Covid risale almeno al 7 gennaio, cioè una settimana prima che la Regione finisse (per sbaglio) in zona rossa. Lo conferma un’email inviata quel giorno da un tecnico dell’Iss al Pirellone e mostrata al Tg1. “Ti ricordo il problema dei vostri dati con data inizio sintomi e mai uno stato clinico a conferma di questo”, si legge. “Dobbiamo cercare di lavorare per risolvere questo problema vista la forte differenza tra Lombardia e le altre regioni al riguardo”. Poche parole che sembrano smentire le ricostruzioni fornite sin qui dal governatore Attilio Fontana, secondo cui sarebbero stati i suoi tecnici ad accorgersi degli errori che hanno portato a sovrastimare l’indice Rt in Regione (a 1,4 anziché a 0,88) e a far scattare le restrizioni più pesanti.
Basta fare attenzione alle date: il 7 gennaio Roma avverte Milano che nel database regionale dei casi sintomatici (su cui si basa il calcolo dell’Rt e quindi il colore di ciascuna Regione) è indicato l’inizio della malattia ma mancano ulteriori informazioni sullo “stato clinico” dei pazienti o sull’avvenuta guarigione dopo i 21 giorni dalla comparsa dei sintomi. In questo modo il totale dei sintomatici risulta più alto di quello effettivo. Ma evidentemente nulla si muove. Il 15 gennaio la Cabina di regia prende quindi per buoni quei numeri e calcola l’Rt a 1,4, sancendo l’ingresso della Lombardia in zona rossa, poi ufficializzato dall’Ordinanza del ministro alla Salute Roberto Speranza a partire dal 17. In quei giorni nessuno protesta formalmente con i tecnici di Istituto superiore di sanità né con il ministero. Solo dopo, come ricorda il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, la Regione presenta una richiesta di rettifica all’indice di trasmissibilità.
Il 19 gennaio, mentre Fontana è sul piede di guerra per la zona rossa e viene presentato il ricorso al Tar del Lazio, il direttore del dipartimento al welfare della Lombardia, Marco Trivelli, scrive di suo pugno una email a Brusaferro, chiedendo che “venga eseguito un calcolo dell’indice Rt sintomi recependo le modifiche definite a livello tecnico relative al conteggio dei pazienti guariti e deceduti”. I nuovi dati, come attesta un’altra email diffusa dal Fatto, vengono trasmessi all’Iss “mercoledì 20“. Si arriva quindi al 22 gennaio, quando lo stesso Trivelli chiede ufficialmente una “rivalutazione dell’indice Rt sintomi per la settimana n.35 ora per allora“. Tradotto: rivedere il tasso di trasmissibilità del virus nella settimana che è costata la serrata totale alla Lombardia.
Così accade. Il giorno dopo l’Rt viene abbassato a 0,88 e la Regione torna in arancione. Ma mentre la Cabina di regia è ancora in corso, il presidente Fontana torna all’attacco: “Abbiamo sempre fornito informazioni corrette. A Roma devono smetterla di calunniare la Lombardia per coprire le proprie mancanze”. Nel weekend i toni si alzano ulteriormente, con la sua vice, Letizia Moratti, che nega la richiesta di rettificare l’Rt: “A seguito di un approfondimento relativo all’algoritmo dell’Iss, abbiamo inviato la rivalorizzazione dei dati”. Il Pirellone punta quindi tutto su un presunto “malfunzionamento dell’algoritmo”, ipotizzando che l’intero sistema sul quale si basano le restrizioni in tutta Italia sia ‘falsato’. In realtà, stando all’email del 7 gennaio trapelata oggi, la Lombardia era già stata ampiamente avvertita che c’era qualcosa che non andava nei suoi dati. Oltre al nodo dei sintomatici, si cita pure “il problema delle comorbidità” (malattie che possono aggravare il quadro clinico da Covid): “Che dobbiamo fare per sanare? Noi non pubblichiamo il dato ma abbiamo pressioni enormi al riguardo” da “stampa, politica, presunti esperti”, si legge nel documento. La frase chiave, però, resta quella iniziale: “Ti ricordo il problema dei vostri dati”, scrive il tecnico dell’Iss al Pirellone, alludendo a una questione che evidentemente andava avanti da ancora più tempo.