Società

Morire per obsolescenza educativa. Il caso di Palermo e le parole che cambiano senso

Palermo, 10 anni, bambina, video, soffocamento, fine.
Le parole sbagliate sono l’ultimo livello di una educazione che non sa e non vuole aggiornarsi. Hanno preso il sopravvento e ci restituiscono una cronaca che probabilmente aiuta noi adulti ad assolverci.

Realtà: la realtà è una sola ma le versioni virtuale, digitale e aumentata l’hanno declinata a vite parallele che sfuggono al controllo educativo dei grandi (troppo presi a dar l’esempio di come non va usato il “progresso” tecnologico).

Pericolo: in questo caso il web è colpevole di pericolo, come un Vajont che viene giù e l’assassino è la natura. L’imputato, noi, non c’eravamo, in fondo abbiamo solo scaricato l’app ai nostri figli perché siamo noi ad aver l’età legale per farlo. Salvo prendere atto poi che abbiamo dato un consenso alla “realtà peggiorata”.

Scuola: la scuola faccia la sua parte, deve educare, la famiglia e bla bla bla. La scuola ha già di che sopravvivere, ma è sempre un ottimo alibi al genitore che non ha tempo perché non vuole averne e quindi chiede che la scuola si assuma le responsabilità di “fare la sua parte” (anche quella di genitore).

Gioco: rischiare di morire per un app, una sfida, una cazzata fatale non è un gioco. E’ la parte brutta, bruttissima, della vita, ma definirlo “gioco” pare giustificare il nostro esser stati colti di sorpresa. Son ragazzi… son bambini… resilienti… è solo un gioco. Era.

L’asticella della percezione della realtà si è abbassata anche grazie a un uso superficiale del significato delle parole: mantenendo la stessa pronuncia abbiamo applicato il lessico a un mondo in cui i figli ce li abbiamo, che piaccia o no, fatti entrare noi.

Questo non significa necessariamente che la colpa è del genitore, perché anche quando siamo impeccabili e presenti siamo comunque umani e minuscoli: non possiamo combattere da soli giganti che si insinuano nel taschino di ciascuno, infilando tra le dita la vertigine di avere tutto sotto controllo.

Da un lato ci siamo noi, adulti che sanno aggiornare un’app quando arriva la notifica (ma non vogliono aggiornare l’educazione applicandola alla modernità, pensando ancora che problemi nuovi si possano risolvere solo con soluzioni obsolete) e dall’altro c’è il Big Data riscrivendo la dichiarazione dei doveri universali dell’uomo con la complicità di governi che non agiscono.

Nel frattempo si muore anche così, nell’unica realtà che c’è sempre stata, quella reale, ma troppo impegnativa per competere col fascino di “giochiamo a fare finta che…”