Musica

Sfera Ebbasta si scaglia contro la musica pop. Ma lui per me è il ‘Laura Pausini’ della trap

C’è un recente tweet di Sfera Ebbasta sul quale forse vale la pena di soffermarsi un attimo. Recita esattamente così: “Che dispiacere vedere gli italiani che sputano sulla scena italiana ????????‍♂️ siamo delle pecore! Ci meritiamo di tornare al pop in classifica”.

Tralasciamo le motivazioni che lo hanno spinto a scrivere una cosa del genere, mi sembra molto più interessante il presupposto da cui parte il trapper: il pop è musica scadente; c’è della musica che oggi in Italia domina le classifica, musica della quale verosimilmente la sua fa parte, che non è pop e che è meglio del pop.

Bene. Ora ragioniamo intorno a questi discorsi. Vediamo.

Io credo che Sfera Ebbasta sia più pop di tutti. Anzi, credo sia l’accezione più pura del pop, più della Pausini, per intenderci. Sfera Ebbasta è il Laura Pausini del trap italiano. Pubblici diversi, medesimi meccanismi iconici. Bisogna dirglielo.

Qual è l’accezione del termine “pop” a cui penso se dico una cosa del genere? Fa pop chi, tramite la musica, le parole e le espressioni visive, con premeditata certezza di riuscita, costruisce un’icona d’impatto che il pubblico si aspetta e apprezza immediatamente. Per arrivarci ci sono due strade:

Ora, molto pop italiano degli ultimi venticinque anni funziona come il punto uno, attraverso amori strappalacrime o eccessivo patetismo. Laura Pausini credo ne sia l’esempio più evidente. Per chi voglia approfondire, ne parlai qui rispetto, per esempio, a Lady Gaga.

Ma anche molta trap italiana cavalca quella prima accezione del termine pop: fa leva sul sessismo, sull’amoralità come punto di partenza, finanche di vanto. Argomenti interessanti e complessi se sviluppati in un percorso, se diventano elementi approfonditi in una poetica, non quando invece sono semplicemente ostentati alla ricerca di facili consensi d’impatto, in quanto eticamente inaccettabili e rivolti per lo più a un pubblico giovane. Ne è un esempio il film su Sfera Ebbasta, Famoso, di recente uscita assieme al suo ultimo disco. Ciò che ne viene fuori è la spasmodica e marziale ricerca del consenso: dal suono che funziona, dall’argomento più accattivante per i teenagers, Sfera rincorre l’ascoltatore, come la Pausini. Non è un giudizio di merito il mio, sono totalmente neutro quando lo dico.

Tutto è legittimo e anche ben riuscito se si tengono conto delle intenzioni e del successo numerico, ma anche tutto artisticamente davvero poco interessante. “No hablo tu lingua ma sicuro piaccio a tua figlia”, canta Sfera in Tran tran. È vero Sfera, ma – ti assicuro – attraverso la pornografia di amore e morte ci vuole poco.

Insomma, Sfera Ebbasta è precisamente pop. È il principale esponente della trap che segue il pop più becero e non si capisce secondo quale semantica se ne chiami fuori.

C’è poi la trap che, per quanto sia differente dalla canzone d’autore, ne riesce a riproporre all’esigenza di raccontare la crudezza del mondo reale, impronunciabile nelle canzonette del pop mainstream, che stava alla base della rivoluzione dei primi cantautori genovesi a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta. Penso ai rapper, anche oggi genovesi, Nader Shah, Tedua, Izi, Disme, oppure a Ernia o anche a Ghali e Massimo Pericolo. C’è una dichiarazione di Ivano Fossati riferita ai rapper e trapper, raccolta nel film di prossima uscita – “La nuova scuola genovese”, scritto e ideato da Claudio Cabona – che ci fa capire anche come in prospettiva la trap possa fare addirittura meglio della canzone d’autore: “Sono dei cantautori e anche di più, sono qualcosa di diverso. C’è una libertà che loro si sono presi, che loro si sono inventati, alla quale noi non abbiamo avuto il coraggio di accedere. Loro sì, per questo vanno guardati con attenzione”.

È tutto dannatamente vero. La trap può arrivare a fare ciò in cui ha sostanzialmente fallito la canzone d’autore italiana: conservare le proprie peculiarità espressive all’arrivo della diffusione in un canale di massa, così da riuscire a descrivere l’immaginario tramite il realismo poetico, senza cavalcare il bisogno di trasgressione adoloscenziale e soddisfarne fedelmente l’attesa.

Lì fallì la canzone d’autore negli anni Ottanta del Novecento, con colpevole e decisiva complicità di una discografia in evidente crisi e riflusso. Il post-trap, invece, reggerà l’urto del mainstream? Staremo a vedere.

Direi però che Sfera Ebbasta ha perso in partenza questa sfida. Non che se ne dolga, per carità, e dal suo punto di vista fa più che bene. Ma almeno che ne sia consapevole.