Quest’anno il Giorno della Memoria – l’anniversario della liberazione di Auschwitz – arriva carico di minacce e di dubbi. Come sempre, ricordare sarebbe già un dovere in sé, ma serve anche perché la Shoah (lo sterminio degli ebrei) e più in generale l’Olocausto (la strage di disabili, oppositori, omosessuali, rom, che ha preceduto e accompagnato la Shoah) non si ripetano mai più. Quest’anno, però, sulla Memoria si addensano una minaccia e un dubbio.
La minaccia è il negazionismo social. Quanti negano la pandemia, cioè la scienza, spesso negano anche la Shoah, cioè la storia, ricorrendo agli stessi trucchi. Si prende un dettaglio – ad esempio: dov’è l’ordine scritto di Hitler di sterminare gli ebrei? – e lo si usa per spargere dubbi sull’insieme: le testimonianze, i filmati, i processi. A che scopo? Non certo per amore della storia. Semmai, nella speranza folle che la storia si ripeta, com’è già avvenuto più volte dopo la Seconda guerra mondiale, in Rwanda, Myanmar, nell’ex Jugoslavia…
Il dubbio, sollevato da storici insospettabili come Valentina Pisanty e Paolo Mieli, è che – detto brutalmente – troppa Memoria faccia male: che le celebrazioni ufficiali e le leggi contro fake news, incitamento all’odio e razzismo alimentino il negazionismo invece di prevenirlo. Dubbio, se possibile, più inquietante della minaccia. Non staremo sbagliando tutto, noi guardiani della Memoria?
La prima obiezione che si potrebbe fare agli storici è anch’essa storica: una questione di date, e di logica. Le cerimonie e le leggi si sono diffuse a partire dagli anni Novanta, dopo la prima ondata di negazionismo. Gli scritti “revisionisti” di Robert Faurisson sono degli anni Settanta-Ottanta, mentre la legge Gayssot – la prima delle tante leggi europee a tutela della Memoria – è del 1990. L’anti-negazionismo presuppone il negazionismo, non viceversa.
Obiezione non decisiva, però. Dopotutto è vero, come denunciano gli storici, che dagli anni Novanta in poi negazionismi, razzismi e neonazismi sono aumentati esponenzialmente, soprattutto in rete, tracimando poi nella società. O non le abbiamo forse viste, ancora a Capitol Hill, le magliette con la scritta 6MWE, che poi in inglese vuol dire “Sei milioni di morti non sono abbastanza”? Decisiva, semmai, è una seconda obiezione.
Il negazionismo è venuto prima, ma poi è diventato l’ombra che la Memoria s’è portata appresso. Esattamente come non possiamo liberarci della nostra ombra senza svanire, così neppure la Memoria, la storia, la scienza possono farlo: devono rassegnarsi all’idea che ci sarà sempre, sui media, un ignorante, un falsario o uno psicolabile che negheranno l’evidenza. Anzi, un buon argomento contro le leggi anti-negazioniste non è affatto la libertà di espressione, che non è mai stata illimitata, ma semmai questo: anche i negazionisti, negando l’evidenza, ci aiutano involontariamente a ricordare.
Gli storici hanno dunque ragione a sostenere che ci vuole più storia, anche nelle scuole, non che ci vuole meno Memoria. Pensate alla puntata del quiz televisivo L’eredità in cui Carlo Conti chiedeva la data dell’ascesa al potere di Hitler, e i concorrenti rispondevano 1974, 1964, 1945 e solo alla fine, per esclusione, 1933. Ecco: benché mediamente istruiti, mancava loro proprio la storia contemporanea, che insegna perché la democrazia è meglio della dittatura. Semmai, ci vuole meno Memoria retorica, ipocrita, noiosa…
Parleremo anche di questo domani, 26 gennaio 2021, dalle ore 14, a Convivere con Auschwitz, l’evento annuale dell’Università di Trieste, quest’anno online, con accesso aperto a tutti dalla pagina Youtube dell’Ateneo, in collegamento con il Memoriale di Wannsee, presso Berlino, dove la Soluzione finale venne pianificata.
Fra i tanti interventi, filmati e ospiti, ci sarà anche la lettera inviata da Liliana Segre, nostra laureata honoris causa nel 2009, per ringraziare della dedica di una stella, da parte della comunità astronomica internazionale, promossa da Gianni Peteani, anima dell’evento. Poi, non è necessario assistere proprio a tutto: basta scegliere il momento, e collegarsi un attimo.