Nessun ostacolo per i decreti legge sulle misure economiche più attese, dal rinvio delle cartelle esattoriali ai nuovi ristori. Per dettato costituzionale sono atti riservati ai “casi straordinari di necessità e urgenza” ed è l’urgenza stessa a giustificarne il varo da parte di un governo dimissionario. Lo stesso vale per la gestione dell’emergenza sanitaria: in caso di un’impennata dei contagi, per esempio, l’esecutivo potrebbe emanare un nuovo decreto e non sarebbe esclusa nemmeno – “con parsimonia” – l’opzione di un Dpcm firmato da Giuseppe Conte. “Al contrario, invece, è ora precluso tutto ciò che comporta una scelta legata all’indirizzo politico“, spiega a ilfattoquotidiano.it Gaetano Azzariti, professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università La Sapienza, poco dopo le dimissioni di Conte nelle mani del capo dello Stato Sergio Mattarella che come da prassi cha invitato il governo a rimanere in carica “per il disbrigo degli affari correnti”. “È sospesa quindi tutta l’attività preparatoria del Recovery plan ed è bloccata qualsiasi altra trattativa con le istituzioni europee su altri dossier. Per questo è assai auspicabile e necessario che la crisi si risolva in tempi brevissimi“.

Professore, quali sono i “confini” degli affari correnti?
I limiti si deducono dalla Costituzione, che dice cosa può fare un governo che goda della fiducia del Parlamento. L’attuale governo come sappiamo ha ottenuto la fiducia necessaria ma si ritiene – e ha ritenuto il presidente del Consiglio – che non ci siano le condizioni politiche perché prosegua la sua attività. Ora, con le dimissioni, può occuparsi certamente dell’ordinaria amministrazione ma anche degli atti inderogabili, in assenza dei quali non potrebbe proseguire l’ordinaria attività della pubblica amministrazione, e di quelli urgenti. Non può dunque emanare nuovi atti, per esempio disegni di legge di iniziativa governativa, ma può adottare decreti legge.

Quindi nulla osta all’approvazione di un decreto per rimandare l’invio degli atti del fisco. E del quinto decreto Ristori.
Esatto, se si tratta di atti immediatamente esecutivi che non comportano attività politica. Ma poi si porrà comunque il problema, perché i decreti devono essere convertiti in legge dal Parlamento e in questa situazione quale maggioranza lo convertirebbe?

Lo stesso vale per i provvedimenti legati all’emergenza pandemica?
Sì, il governo potrà e dovrà continuare a gestirla monitorando i contagi e applicando le norme esistenti, quindi per esempio adottando le decisioni sulla colorazione delle Regioni in base agli attuali parametri. Se poi ci fosse un’impennata dei contagi sarebbe possibile adottare un decreto legge, un provvedimento del ministro della Salute o ancora una volta – ma direi con grande parsimonia – un dpcm.

Il confronto con le parti sociali sul Recovery plan invece può continuare?
No, l’attività preparatoria è sospesa perché formalmente (se anche nascesse un Conte ter ndr.) non sarà questo governo, con questa composizione, a gestire i fondi europei per la ripresa. Tanto più non potrà essere presa alcuna decisione sulla governance delle risorse. Al massimo possono essere adottati eventuali atti legati a scadenze comunitarie, in quanto legati a obblighi internazionali. Ma anche in questo caso inevitabilmente c’è uno scoglio politico perché quegli atti non possono essere discussi dalle Camere, la cui attività è sospesa con l’eccezione delle audizioni sul Recovery, che serviranno comunque al Parlamento quale che sia la maggioranza politica che emergerà.

Si rischia così un ritardo nella messa a punto del piano definitivo da presentare a Bruxelles.
Per questo non possiamo continuare ad avere un governo sospeso. L’interesse nazionale, come ha rilevato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, spinge a una soluzione rapida. Le parti politiche, se non sono irresponsabili, devono tener conto del superiore interesse costituzionale, ma anche sociale e politico, rappresentato dalla salvaguardia del bene fondamentale della salute ma anche di interessi economici rilevantissimi: mi riferisco appunto al Recovery fund. Andare a elezioni, esito che sarà inevitabile se non si trova una maggioranza possibile, sarebbe una sconfitta per questo Parlamento e credo per l’Italia, perché nei prossimi due mesi dobbiamo impostare la ripresa che in caso contrario rischia di essere compromessa.

Sul tavolo ci sono anche altri dossier finanziari pesanti, alcuni dei quali oggetto di interlocuzione con la Ue: da Alitalia alla cessione di Mps.
Le trattative su questi fronti si bloccano perché le uniche azioni possibili son quelle dettate dalla necessità. Ovviamente in questa situazione in cui tutto è urgente non ce lo possiamo permettere.

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