L’idea di dedicare una stella a Liliana Segre risale a un momento preciso, la sera del 26 novembre 2008. È la vigilia del settantesimo anniversario dalle Leggi razziali e il giorno dopo l’attuale senatrice a vita sarebbe diventata la prima ex deportata a ricevere una laurea honoris causa. A cena si incontra a Trieste con Gianni Peteani, Presidente del Comitato permanente Ondina Peteani (sua madre) deportata ad Auschwitz con matricola 81672 e prima staffetta partigiana d’Italia. È lì che Peteani matura il proposito di conferire a Segre il riconoscimento. “Parlandole vidi che portava un ciondolo al collo, una stella. Non era quella di David, a sei punte. Ne aveva cinque. Non sono riuscito a trattenermi e le ho chiesto il significato”, racconta oggi Peteani. “Mi rispose che risaliva alla sua permanenza ad Auschwitz-Birkenau. La sera, quando riusciva, guardava il cielo e si concentrava in particolare su un punto luminoso. Promise a se stessa che, se fosse riuscita a sopravvivere, avrebbe portato quella stella sempre con sé”. La vicenda è riportata anche nel libro-testimonianza scritto dalla senatrice con Daniela Palumbo, Fino a quando la mia stella brillerà (2015). “L’immagine mi rimase impressa e ci pensai a lungo, nel tempo”, continua Peteani. “Prima di avviare le pratiche per farle ottenere questo riconoscimento chiesi il consenso a lei e alla sua famiglia”.

Anni dopo Peteani contatta Paolo Molaro, successore di Margherita Hack nella direzione all’Osservatorio astronomico di Trieste, che a sua volta si rivolge alla International Astronomical Union. Trafile, attese e rinvii. Pochi giorni fa la conferma: a Liliana Segre è stata intitolata la stella numero 75190, come il numero di identificazione tatuatole sul braccio. “Quando l’ho avvisata mi ha risposto ‘Incredibile. Grazie’. È una persona estremamente buona e irreprensibile. Sempre attenta a non generare sbavature”, prosegue Peteani. La senatrice, 90 anni, ha concluso quest’anno la sua attività di testimonianza pubblica nelle scuole. Lo ha fatto parlando dalla Cittadella della Pace, nel borgo di Rondine (Arezzo). Nella stessa occasione è stata inaugurata l’Arena di Janine, uno spazio che porta il nome di una cara amica di Segre che non riuscì a sopravvivere al campo di sterminio. “I luoghi e le voci degli eredi sono le vie per far proseguire il ricordo anche nel futuro, quando sarà sempre più difficile perché mancheranno i testimoni diretti”, prosegue Peteani, che presenterà il conferimento della stella nel corso del convegno ‘Convivere con Auschwitz’. “La memoria, per usare termini molto attuali, è come se fosse un vaccino. Una medicina per scongiurare il ripetersi dell’orrore”. Anche se amara: “Ricordare questi fatti è sempre stato complesso. I filmati girati nei campi di concentramento per lungo tempo non vennero accettati, perché troppo forti. Mia madre per molti anni non parlò. Lo dico spesso: a casa mia Auschwitz mescolava la minestra e stendeva i panni. Erano i gesti quotidiani che faceva mostrando il numero sul braccio senza mai accennare a quanto accaduto lì. Solo nella fase finale della sua vita iniziò a raccontare”.

Se ci si sofferma sull’importanza dei luoghi nella storia, ricorda Peteani, Trieste non è una città come le altre. Qui Mussolini tenne il discorso antisemita di poco antecedente alle Leggi razziali del 1938, con il quale annunciava che “L’ebraismo mondiale è stato durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del fascismo“. Sempre nel capoluogo friulano è stato realizzato il lager della risiera di San Sabba: prigione, forno crematorio e centro di smistamento verso Dachau, Auschwitz, Mauthausen. “Dal silos, l’edificio adiacente alla stazione, partì il 70 per cento dei convogli italiani destinati ad Auschwitz”. Resistere vuol dire disobbedire, conclude Peteani. Al male, alle traiettorie sbagliate, a chi non vede alternative. E ricordare vuol dire resistere. “È un rafforzativo in ragione della pace”.

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