La penosa vicenda degli inadempimenti contrattuali di Pfizer e AstraZeneca appare per certi versi tragica e per altri molto emblematica.
Tragica perché il programma vaccinale che era partito di buona lena e sul quale le autorità italiane, come del resto quelle di molti altri Paesi, puntano molto per contenere la pandemia Covid è oggi messo a repentaglio da parte del comportamento delle aziende citate.
Emblematica perché essa dimostra, una volta di più, anche ai più ostinati (e un po’ stupidi, bisogna aggiungere, a questo punto) sostenitori del “libero mercato” come panacea di ogni male, che il sistema capitalistico basato sul predominio di industrie private sempre più potenti e a volte fra loro in concorrenza (vera o presunta) è in diametrale opposizione alla tutela degli interessi e dei diritti collettivi, primo fra tutti quello sacrosanto e imprescindibile alla salute.
Credo infatti che AstraZeneca, Pfizer e altre imprese farmaceutiche private abbiano deliberatamente scelto di sacrificare le loro forniture di vaccini all’Italia, così come ad altri Paesi europei, perché nel frattempo sono subentrati altri clienti maggiormente dotati di potere d’acquisto e probabilmente anche di altri strumenti convincenti sul piano dei rapporti che, nonostante le apparenze, neanche nel capitalismo sono mai asettici e impersonali. Si parla in questo senso di ingenti quantitativi di vaccini dirottati verso Stati Uniti, Brasile, Israele, sottraendoli alle legittime aspettative, contrattualmente e legalmente garantite, del governo italiano e di altri.
Legittima e sacrosanta appare la decisione del governo Conte, a quanto pare destinata ad essere imitata dalle autorità europee, di ricorrere in giudizio contro le imprese inadempienti che, venendo meno ai loro impegni, mettono a grave rischio la salute e la vita di noi tutti. Ma ci si deve chiedere se questa possa essere la soluzione efficace del problema. Probabilmente nell’immediato non v’è altro da fare, ma sarebbe opportuno che il governo ripensasse a fondo la sua strategia in materia.
Si sa, fra l’altro, che la signora Merkel, di fronte a una situazione analoga, ha deciso di stipulare un accordo con la Russia di Putin per la fornitura del vaccino Sputnik. Si tratta di una scelta per me giusta e che va condivisa. Più in generale le autorità europee e quelle italiane dovrebbero aprire la strada a una cooperazione internazionale a 360 gradi non solo per quanto riguarda il vaccino, ma anche le terapie e la diagnostica del virus.
Oltre che con la Russia accordi di cooperazione vanno trovati con la Cina e con Cuba. Quest’ultima, in particolare, la cui brigata medica internazionalista “Henry Reeve” ha operato con abnegazione e successo nel nostro Paese nella prima fase della pandemia, ha messo a punto un vaccino, “Soberana”, e conta di immunizzare il 100% della popolazione entro pochi mesi. Una nuova conferma dei successi che può ottenere un Paese piccolo, povero e soggetto da oltre 50 anni a un pesantissimo blocco economico da parte della principale potenza mondiale.
Sarebbe insomma opportuno che una volta tanto i nostri governanti smettessero gli abiti usuali dei camerieri di Washington (Trump o Biden da questo punto di vista non cambia molto, purtroppo) e delle imprese multinazionali, per indossare quelli dei promotori della cooperazione internazionale in materia.
Quest’ultima costituisce com’è noto l’unica chance di debellare la gravissima e inedita pandemia che ci troviamo ad affrontare da oramai un anno. Per questo una serie di Stati, pur a diverso regime politico ed economico come India, Sudafrica, Venezuela e numerosi altri, hanno chiesto che sia lanciata e rafforzata l’iniziativa delle Nazioni Unite in materia, mediante il cosiddetto programma Covax promosso dall’Organizzazione mondiale della sanità, che deve comportare necessariamente l’esenzione dal rispetto delle norme relative alla proprietà intellettuale che favoriscono solo le imprese multinazionali private.
La pandemia ci ha insegnato che, continuando sul cammino fin qui percorso, siamo destinati a sofferenze e lutti sempre più ingenti. Cambiare è necessario, ma a quanto pare sia per le imprese che per il governi loro asserviti si tratta in ultima analisi solo di “business as usual”. O di “war as usual” come dimostrano le infami sanzioni che colpiscono il Venezuela, che impediscono al suo governo di assicurare il vaccino alla popolazione; o la scelta delle autorità israeliane di negare l’accesso al vaccino alla popolazione palestinese dei territori occupati i cui diritti, come chiarito dal Parere emesso dalla Corte internazionale di giustizia nel 2004, esso è tenuto a garantire. Una strada che porta solo alla catastrofe: va quindi abbandonata immediatamente.