In questo Giorno della memoria del 2021, in cui i contagi da Covid-19 nel mondo sono giunti al numero iperbolico di cento milioni, la parola “indifferenza” si staglia davanti ai nostri occhi a lettere cubitali, come la scritta incisa su pietra che Liliana Segre ha voluto all’ingresso del Memoriale Binario 21, nei sotterranei della Stazione centrale di Milano. Nel grande ventre oscuro ora consacrato alla memoria, tra il dicembre 1943 e il gennaio 1945 venivano caricati, piombati e issati sui binari i treni della deportazione, tra cui quello che avrebbe condotto Liliana e suo padre nel campo di concentramento e sterminio di Auschwitz-Birkenau.

Per avere la misura del lavorio dell’indifferenza che si è compiuto in quasi un anno di pandemia, basta riandare per un istante all’immagine del Papa, solo, in una piazza San Pietro deserta, immensa e sferzata dalla pioggia, mentre impartiva l’indulgenza plenaria a chi stava morendo di Covid. Era il 24 marzo 2020, i decessi ufficialmente registrati in Italia erano 9.134, un numero che pareva spaventoso; oggi sono 86.422. Nel mondo, quello stesso giorno, i morti erano 28.396; oggi sono 2.151.248.

Quell’immagine solenne, drammatica, che tutti pensavamo destinata alla storia, non sarebbe più possibile, non avrebbe più forza, nell’impermeabilità ai bollettini quotidiani, alle sirene delle ambulanze, alla notizia della morte di un vicino, di un parente, di un collega, quasi si trattasse di fatalità inevitabili. Ci si abitua a tutto. La capacità di rendere normale l’abnorme, il mostruoso, è alla base della nostra vita. Ma è nell’abitudine, nella normalizzazione, che ci si rende disponibili ad accettare ciò che fino a poco tempo prima sarebbe parso impossibile. La scomparsa silenziosa dei più fragili, la possibilità di vedere come superflue intere categorie di persone.

“Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva”, scriveva Antonio Gramsci nel 1917, nel pieno della Prima guerra mondiale, “e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente”.

Un secolo più tardi, Liliana Segre ha così interpretato la voce Indifferenza per il vocabolario Zingarelli 2020: “L’indifferenza racchiude la chiave per comprendere la ragione del male, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. L’indifferente è complice. Complice dei misfatti peggiori”.

La Shoah non è stata un accidente della Storia ma un massacro pienamente politico, annunciato, pianificato e realizzato da un potere statale e dalla sua burocrazia contro innocenti inermi, bambini, vecchi, malati, donne e uomini appartenenti a categorie considerate non desiderabili o improduttive, “bocche inutili da sfamare”, da estirpare come erbe cattive. In una prima fase fucilati in massa e bruciati in fosse comuni, poi rastrellati in tutta Europa, deportati lungo un reticolo ferroviario e mandati in strutture di messa a morte industriali e smaltimento dei cadaveri, dopo essere stati privati di tutti i beni e, in alcuni campi, sfruttati per lavoro schiavo o come cavie per esperimenti. La Shoah ha portato alla luce le radici profonde di una cultura, la nostra, che ha nella selezione tra vite degne e vite di scarto il suo cuore di tenebra, e nella tacita complicità dei più la sua possibilità di ripetersi in ogni epoca.

Se esiste oggi un dovere di memoria, risiede in questa consapevolezza, l’unica che ci possa permettere di attivare per tempo il “freno d’emergenza” che Walter Benjamin figurò nel suo Segnalatore d’incendio. Potremmo allora scorgere le avvisaglie di una china funesta nell’abbandono degli anziani nelle Rsa, e nei protocolli etici di accesso alle terapie intensive che, in numerosi Paesi del mondo, hanno escluso anziani polipatologici, malati psichiatrici, portatori di handicap (Stato di New York e Alabama), e considerato tra i criteri preferenziali d’accesso l’autosufficienza e persino lo status sociale.

Alla vigilia della maturità al tempo del coronavirus, la senatrice Liliana Segre, in una lezione per il programma #maestri di Rai Cultura, parlò agli studenti della nostra Costituzione. “Vi lascio immaginare cosa rappresentarono per me, dopo quello che avevo visto e vissuto, quei veri e propri comandamenti: libertà, uguaglianza, diritti, pari dignità, rispetto, solidarietà… Mi limito a ricordare l’articolo 3, il più bello: ‘Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua e religione’. La grande novità sta nel compito dello Stato di ‘rimuovere gli ostacoli’ per far sì che quella pari dignità diventi effettiva. Un compito che non potrà mai dirsi concluso. È il contrario dell’indifferenza, perché la Repubblica non è un’identità lontana: siamo noi, tutti noi”.

L’Unione Astronomica Internazionale ha intitolato un asteroide a Liliana Segre, che ha sempre raccontato di aver cercato nel cielo, nelle notti di prigionia ad Auschwitz Birkenau, una piccola stella diventata presenza familiare e promessa di mondo fuori dalle recinzioni. Dal 17 novembre 2020, una stella del nostro firmamento ha il numero 75190, lo stesso che le fu tatuato sul braccio.

L’asteroide 75190 Segreliliana assegna al numero che significava annientamento la possibilità di ricordare che è possibile guardare fuori dalle recinzioni e dal buio. Avremo una stella che brillerà per noi, e dopo di noi.

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