di Jela ‘Elena’ Rupena
Sono nata nel 1922 a Piedimelze (Tolmino), provincia di Gorizia, cittadina italiana – il territorio allora faceva parte dello Stato italiano – in una famiglia di nazionalità slovena. Nel periodo prima della Seconda guerra mondiale ho vissuto con la mia famiglia in Jugoslavia, con cittadinanza jugoslava.
Il 18 settembre 1944 sono stata arrestata a Ljubljana in Slovenia (Jugoslavia), dove avevo la residenza (zona occupata nel 1944 dai tedeschi), dalla Polizia e trattenuta nelle Carceri della Polizia a Ljubljana. Il 16 dicembre 1944 sono stata deportata con trasporto in Germania nel campo di concentramento femminile di Ravensbrück bei Firstenberg (Mecklenburg). All’arrivo nel campo di concentramento siamo state private di tutti i nostri effetti personali ed affetti (persino delle fotografie dei familiari), costrette a indossare vestiti zebrati, zoccoli di legno, testa rasata e siamo state numerate. Il mio numero personale era J95222 (J = jugoslava, sul triangolo rosso).
Dopo essere state sistemate nelle baracche accompagnate dalle sorveglianti SS, stipate in giacigli a castello su più piani, molto affollati, eravamo tutti i giorni svegliate alle 4 di mattina, disposte ferme in dieci file, sistemate dalle Blokove e Stubove, davanti alle baracche. Dovevamo aspettare nel freddo gelido fino alle 6 l’arrivo delle sorveglianti SS per fare l’appello e registrarci. Dovevamo portare fuori le detenute mancanti all’appello, perché morte di stenti e rimaste nei giacigli, e trasportarne i cadaveri sulle carrette spingendole davanti al crematorio.
Subito dopo l’appello, le sorveglianti SS con l’assistenza delle Kapò ci ordinavano di formare la colonna. Munite di attrezzi per lavori pesanti, zappe, pale, carriole, etc., le SS ci scortavano con i cani fuori in aperta campagna su un terreno paludoso ai cumuli di sabbia. Il lavoro consisteva nel trasportare la sabbia da un cumulo all’altro per tutto il giorno. Altre detenute che erano già destinate ai vari lavori dentro il campo, nelle lavanderie, nei vari magazzini, alle caldaie per il pasto, dopo l’appello si presentavano al suddetto lavoro. In particolare a noi nuove arrivate toccava la colonna per i lavori sui cumuli di sabbia, perché durante il giorno nelle baracche ci era vietato sostare. Eravamo poco vestite e affamate, esposte al gelido vento del nord e ai vortici di sabbia che ci colpivano la faccia.
Sfinite, spossate da diarree, in condizioni disumane, eravamo maltrattate dalle SS che ci sgridavano minacciosamente di muoverci più svelte (Loos, loos!, Schnell, schnell!) con pericolo di maltrattamenti più gravi, sbattendoci al ritorno nel campo per più giorni nel bunker a rischio della vita.
Il crematorio era sempre in funzione notte e giorno, con fiamme e fumo acre del camino che si respirava in tutto il campo. I trasporti arrivavano in continuazione.
Alla fine del mese di gennaio 1945 sono stata mandata dall’Ufficio di Collocamento situato nel campo stesso, con trasporto a piedi in colonna, nella fabbrica Siemens situata a pochi km di nostro campo centrale di Ravensbrück, dove siamo state sottoposte ad ulteriori selezioni dalla Commissione della fabbrica. Dopo siamo state sistemate nelle baracche del campo recintato nei pressi della fabbrica, allo stesso modo come nel campo centrale, io sempre col mio numero 95222.
Eravamo sorvegliate dalle SS. Con l’assistenza delle Blokove e Stubove, nelle baracche eravamo collocate nei giacigli a castello a un piano, un giaciglio per ogni detenuta, in tante file. L’appello avveniva ogni mattina alle 4 davanti alle baracche in attesa delle sorveglianti SS fino alle 6, per la solita conta e registrazione. Ferme dritte in dieci file nel freddo gelido sotto le stelle fitte.
Abbiamo avuto tempo per contarle, battendo i piedi con gli zoccoli sul suolo gelido, e pensare a quando le stelle ci avrebbero avviate sulla strada verso le nostre famiglie. Subito dopo l’appello ci recavamo in colonna a lavoro nella fabbrica sotto la scorta delle SS, sempre gridandoci “Schnell, schnell!” e costrette a cantare un canto tedesco per incitarci ad andare a lavoro “allegramente”.
Nella fabbrica la nostra direttrice si faceva chiamare Scheffin. Il mio lavoro consisteva nel lavorare ad una macchina a pressione a mano. Univo due pezzettini (simili ad una forchettina) ad un prodotto che poi passavo avanti nello stesso banco di lavoro ad altre detenute, che messe in fila aggiungevano altri pezzi allo stesso prodotto. Nella fabbrica era presente anche un Meister civile. La sera finito il lavoro, chiamate dalla Scheffin, dovevamo fare la pulizia prima di tornare nelle baracche sotto la scorta delle sorveglianti SS, dove eravamo controllate sempre, persino nelle latrine. Spesso entrava anche un comandante SS in persona per evitare assembramenti di noi detenute.
Di domenica, le sorveglianti SS ci portavano a lavoro fuori sul terreno aperto sistemate in una lunga fila, a trasportare da mano a mano la terra nei contenitori di legno sulla collina. Noi detenute eravamo costrette a lavorare vestite con solo un vestito zebrato, soffrendo freddo e fame: almeno il lavoro nella fabbrica si svolgeva in un ambiente coperto.
Verso la metà del mese aprile del 1945 tutte noi detenute che lavoravamo alla Siemens siamo state di nuovo trasferite nel campo centrale di Ravensbrück. Nel campo le condizioni erano peggiorate ancora, da mangiare non c’era più niente. La solita brodaglia già liquida composta di rari fogli di varie verdure non si distribuiva più. Si cercava furtivamente di trovare davanti alle cucine qualche bidoncino di brodaglia oramai di Dergemise (pochi frammenti di varia verdura essiccata). Il campo era strapieno per gli arrivi dei treni delle detenute provenienti dagli altri campi. Lo spazio nelle baracche non era sufficiente e venivano stese le tende tra le baracche.
Anche noi provenienti dalla Siemens siamo state stipate sotto le tende, nella sporcizia di escrementi liquidi per terra. Per le condizioni disumane le morti delle detenute erano aumentate, dai treni dovevamo raccogliere cadaveri di detenute morte di stenti durante il viaggio.
Dopo pochi giorni di permanenza nel campo, anche Ravensbrück è stato evacuato. Prima ci hanno stipate nei vagoni scoperti del treno merci, però dopo poche ore di sosta ci hanno fatto abbandonare il treno: ci hanno sistemate in colonna in file per cinque e sotto la sorveglianza delle SS ci hanno fatto incamminare a piedi verso occidente. Camminavamo per parecchi giorni sulle strade campestri, la nostra colonna di detenute si alternava con la popolazione tedesca in fuga, sotto continui bombardamenti, rifugiandosi loro nelle trincee e lasciando noi detenute sulla strada. Ci si imbatteva spesso anche sotto il fuoco incrociato della artiglieria, dato che si avvicinava l’Armata rossa.
Nel cammino abbiamo sostato in un altro campo chiamato Rechlin, abbandonato e sporco di escrementi. Nei pressi di Neustreliz, dopo Mirow, sfinite e allo stremo della nostra forza fisica, ci siamo sottratte alla colonna, tutta la fila di noi cinque, e ci siamo nascoste in una fossa, coprendoci con le frasche in un bosco ad una curva lungo la strada, osservando di nascosto la ritirata dell’esercito tedesco sulla strada. Il 5 maggio 1945 siamo state liberate dall’Armata russa. Nel bosco, dopo essere liberate, abbiamo scoperto parecchi gruppi di detenute nascoste come noi.
Le condizioni così disumane nel campo di concentramento ci hanno lasciato conseguenze sulla salute: soffro di bronchite cronica, insufficienza cardiaca e reumatismo all’anca destra, dovuto al fatto che dormendo la mia gamba stava distesa nella fessura tra i giacigli, tra cui soffiava un freddo gelido proveniente dalle finestre senza vetri della baracca. Di conseguenza ho bisogno di continue cure.
Io vivo dal 1953 qui in Sicilia. Ho sposato un cittadino italiano e possiedo la doppia cittadinanza italiana e slovena. Già nell’anno 2000 sono stata informata dai miei parenti in Slovenia dell’esistenza del Fondo umanitario presso la Fabbrica Siemens, per un risarcimento alle detenute per lavoro forzato: in attesa delle trattative in base alla legge tedesca, altre detenute di Ljubljana reduci da Ravensbrück, con le quali ho lavorato nella fabbrica, hanno fatto la domanda per risarcimento. Così il 2 febbraio 2000 ho scritto anch’io fornendo indicazioni della mia detenzione. La mia domanda è stata accolta dal detto fondo e la somma mi è stata riconosciuta l’8 maggio 2000.
Mi auguro che un simile flagello nel mondo non si ripeta mai più.
Speaker's corner
Per chi ha qualcosa da dire
Società - 27 Gennaio 2021
Io, numero J95222, sopravvissuta a Ravensbrück
di Jela ‘Elena’ Rupena
Sono nata nel 1922 a Piedimelze (Tolmino), provincia di Gorizia, cittadina italiana – il territorio allora faceva parte dello Stato italiano – in una famiglia di nazionalità slovena. Nel periodo prima della Seconda guerra mondiale ho vissuto con la mia famiglia in Jugoslavia, con cittadinanza jugoslava.
Il 18 settembre 1944 sono stata arrestata a Ljubljana in Slovenia (Jugoslavia), dove avevo la residenza (zona occupata nel 1944 dai tedeschi), dalla Polizia e trattenuta nelle Carceri della Polizia a Ljubljana. Il 16 dicembre 1944 sono stata deportata con trasporto in Germania nel campo di concentramento femminile di Ravensbrück bei Firstenberg (Mecklenburg). All’arrivo nel campo di concentramento siamo state private di tutti i nostri effetti personali ed affetti (persino delle fotografie dei familiari), costrette a indossare vestiti zebrati, zoccoli di legno, testa rasata e siamo state numerate. Il mio numero personale era J95222 (J = jugoslava, sul triangolo rosso).
Dopo essere state sistemate nelle baracche accompagnate dalle sorveglianti SS, stipate in giacigli a castello su più piani, molto affollati, eravamo tutti i giorni svegliate alle 4 di mattina, disposte ferme in dieci file, sistemate dalle Blokove e Stubove, davanti alle baracche. Dovevamo aspettare nel freddo gelido fino alle 6 l’arrivo delle sorveglianti SS per fare l’appello e registrarci. Dovevamo portare fuori le detenute mancanti all’appello, perché morte di stenti e rimaste nei giacigli, e trasportarne i cadaveri sulle carrette spingendole davanti al crematorio.
Subito dopo l’appello, le sorveglianti SS con l’assistenza delle Kapò ci ordinavano di formare la colonna. Munite di attrezzi per lavori pesanti, zappe, pale, carriole, etc., le SS ci scortavano con i cani fuori in aperta campagna su un terreno paludoso ai cumuli di sabbia. Il lavoro consisteva nel trasportare la sabbia da un cumulo all’altro per tutto il giorno. Altre detenute che erano già destinate ai vari lavori dentro il campo, nelle lavanderie, nei vari magazzini, alle caldaie per il pasto, dopo l’appello si presentavano al suddetto lavoro. In particolare a noi nuove arrivate toccava la colonna per i lavori sui cumuli di sabbia, perché durante il giorno nelle baracche ci era vietato sostare. Eravamo poco vestite e affamate, esposte al gelido vento del nord e ai vortici di sabbia che ci colpivano la faccia.
Sfinite, spossate da diarree, in condizioni disumane, eravamo maltrattate dalle SS che ci sgridavano minacciosamente di muoverci più svelte (Loos, loos!, Schnell, schnell!) con pericolo di maltrattamenti più gravi, sbattendoci al ritorno nel campo per più giorni nel bunker a rischio della vita.
Il crematorio era sempre in funzione notte e giorno, con fiamme e fumo acre del camino che si respirava in tutto il campo. I trasporti arrivavano in continuazione.
Alla fine del mese di gennaio 1945 sono stata mandata dall’Ufficio di Collocamento situato nel campo stesso, con trasporto a piedi in colonna, nella fabbrica Siemens situata a pochi km di nostro campo centrale di Ravensbrück, dove siamo state sottoposte ad ulteriori selezioni dalla Commissione della fabbrica. Dopo siamo state sistemate nelle baracche del campo recintato nei pressi della fabbrica, allo stesso modo come nel campo centrale, io sempre col mio numero 95222.
Eravamo sorvegliate dalle SS. Con l’assistenza delle Blokove e Stubove, nelle baracche eravamo collocate nei giacigli a castello a un piano, un giaciglio per ogni detenuta, in tante file. L’appello avveniva ogni mattina alle 4 davanti alle baracche in attesa delle sorveglianti SS fino alle 6, per la solita conta e registrazione. Ferme dritte in dieci file nel freddo gelido sotto le stelle fitte.
Abbiamo avuto tempo per contarle, battendo i piedi con gli zoccoli sul suolo gelido, e pensare a quando le stelle ci avrebbero avviate sulla strada verso le nostre famiglie. Subito dopo l’appello ci recavamo in colonna a lavoro nella fabbrica sotto la scorta delle SS, sempre gridandoci “Schnell, schnell!” e costrette a cantare un canto tedesco per incitarci ad andare a lavoro “allegramente”.
Nella fabbrica la nostra direttrice si faceva chiamare Scheffin. Il mio lavoro consisteva nel lavorare ad una macchina a pressione a mano. Univo due pezzettini (simili ad una forchettina) ad un prodotto che poi passavo avanti nello stesso banco di lavoro ad altre detenute, che messe in fila aggiungevano altri pezzi allo stesso prodotto. Nella fabbrica era presente anche un Meister civile. La sera finito il lavoro, chiamate dalla Scheffin, dovevamo fare la pulizia prima di tornare nelle baracche sotto la scorta delle sorveglianti SS, dove eravamo controllate sempre, persino nelle latrine. Spesso entrava anche un comandante SS in persona per evitare assembramenti di noi detenute.
Di domenica, le sorveglianti SS ci portavano a lavoro fuori sul terreno aperto sistemate in una lunga fila, a trasportare da mano a mano la terra nei contenitori di legno sulla collina. Noi detenute eravamo costrette a lavorare vestite con solo un vestito zebrato, soffrendo freddo e fame: almeno il lavoro nella fabbrica si svolgeva in un ambiente coperto.
Verso la metà del mese aprile del 1945 tutte noi detenute che lavoravamo alla Siemens siamo state di nuovo trasferite nel campo centrale di Ravensbrück. Nel campo le condizioni erano peggiorate ancora, da mangiare non c’era più niente. La solita brodaglia già liquida composta di rari fogli di varie verdure non si distribuiva più. Si cercava furtivamente di trovare davanti alle cucine qualche bidoncino di brodaglia oramai di Dergemise (pochi frammenti di varia verdura essiccata). Il campo era strapieno per gli arrivi dei treni delle detenute provenienti dagli altri campi. Lo spazio nelle baracche non era sufficiente e venivano stese le tende tra le baracche.
Anche noi provenienti dalla Siemens siamo state stipate sotto le tende, nella sporcizia di escrementi liquidi per terra. Per le condizioni disumane le morti delle detenute erano aumentate, dai treni dovevamo raccogliere cadaveri di detenute morte di stenti durante il viaggio.
Dopo pochi giorni di permanenza nel campo, anche Ravensbrück è stato evacuato. Prima ci hanno stipate nei vagoni scoperti del treno merci, però dopo poche ore di sosta ci hanno fatto abbandonare il treno: ci hanno sistemate in colonna in file per cinque e sotto la sorveglianza delle SS ci hanno fatto incamminare a piedi verso occidente. Camminavamo per parecchi giorni sulle strade campestri, la nostra colonna di detenute si alternava con la popolazione tedesca in fuga, sotto continui bombardamenti, rifugiandosi loro nelle trincee e lasciando noi detenute sulla strada. Ci si imbatteva spesso anche sotto il fuoco incrociato della artiglieria, dato che si avvicinava l’Armata rossa.
Nel cammino abbiamo sostato in un altro campo chiamato Rechlin, abbandonato e sporco di escrementi. Nei pressi di Neustreliz, dopo Mirow, sfinite e allo stremo della nostra forza fisica, ci siamo sottratte alla colonna, tutta la fila di noi cinque, e ci siamo nascoste in una fossa, coprendoci con le frasche in un bosco ad una curva lungo la strada, osservando di nascosto la ritirata dell’esercito tedesco sulla strada. Il 5 maggio 1945 siamo state liberate dall’Armata russa. Nel bosco, dopo essere liberate, abbiamo scoperto parecchi gruppi di detenute nascoste come noi.
Le condizioni così disumane nel campo di concentramento ci hanno lasciato conseguenze sulla salute: soffro di bronchite cronica, insufficienza cardiaca e reumatismo all’anca destra, dovuto al fatto che dormendo la mia gamba stava distesa nella fessura tra i giacigli, tra cui soffiava un freddo gelido proveniente dalle finestre senza vetri della baracca. Di conseguenza ho bisogno di continue cure.
Io vivo dal 1953 qui in Sicilia. Ho sposato un cittadino italiano e possiedo la doppia cittadinanza italiana e slovena. Già nell’anno 2000 sono stata informata dai miei parenti in Slovenia dell’esistenza del Fondo umanitario presso la Fabbrica Siemens, per un risarcimento alle detenute per lavoro forzato: in attesa delle trattative in base alla legge tedesca, altre detenute di Ljubljana reduci da Ravensbrück, con le quali ho lavorato nella fabbrica, hanno fatto la domanda per risarcimento. Così il 2 febbraio 2000 ho scritto anch’io fornendo indicazioni della mia detenzione. La mia domanda è stata accolta dal detto fondo e la somma mi è stata riconosciuta l’8 maggio 2000.
Mi auguro che un simile flagello nel mondo non si ripeta mai più.
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Roma, 22 gen. (Adnkronos) - "Le persone vogliono sentirsi sicure nelle loro città, nelle loro case. Ma l'approccio della destra è sbagliato perchè non basta rafforzare i presidi delle forze dell'ordine, che neanche fanno perchè non ci mettono soldi e mandano poliziotti a fare la guardia ai centri migranti vuoti in Albania, servono presidi sociali e educativi e anche la questione del cambiamenti climatico è una questione di sicurezza". Lo dice Elly Schlein all'evento 'Chi non si ferma é perduto' sui cambiamenti climatici, organizzato dai senatori Pd in collaborazione con Deputati Pd e Fondazione Demo, alla Sala Koch al Senato.
Milano, 22 gen. (Adnkronos) - "Come ogni anno, Samsung presenta il nuovo flagship: Samsung Galaxy S25. Lo scorso anno, con Galaxy S24, abbiamo introdotto per la prima volta l’intelligenza artificiale sugli smartphone e quest’anno, con la nuova serie, facciamo un ulteriore balzo in avanti, riuscendo a dare all’intelligenza artificiale una connotazione ancora più fluida, semplice e, direi, conversazionale”. Lo spiega ai microfoni dell’Adnkronos Nicolò Bellorini Vice President Mobile eXperience division di Samsung Electronics Italia, in occasione di Samsung Galaxy Unpacked 2025, l’evento con cui l’azienda sudcoreana presenta la nuova serie di smartphone Samsung Galaxy.
Questa rivoluzione nel mondo degli smartphone AI è resa possibile da diverse innovazioni, la multimodalità in primis, come sottolinea Bellorini: “Samsung Galaxy S25 è in grado di capire perfettamente il contesto nel quale avvengono le richieste, perché comprende voce, video, suoni, testi, file Pdf e qualunque altra cosa. La seconda innovazione importante è la potenza degli agenti AI, che consente a S25 di performare task complessi, che possono andare anche da un’app all’altra”.
I più recenti top di gamma di Samsung portano infatti le capacità di Galaxy AI a un livello superiore, con un’elaborazione AI avanzata direttamente sul dispositivo, migliorando ulteriormente il comparto fotografico leader del settore Galaxy grazie a ProVisual Engine di nuova generazione e offrendo prestazioni eccezionali grazie al processore Qualcomm Snapdragon 8 Elite per Galaxy.
La nuova serie Galaxy S25 stabilisce così un nuovo standard per l’AI mobile, garantendo l’esperienza mobile più naturale e consapevole mai raggiunta, e rappresenta il primo passo nella visione di Samsung di cambiare il modo in cui gli utenti interagiscono con i loro smartphone e con il mondo che li circonda.
“Come l’anno scorso, sono tre i modelli disponibili, Galaxy S25 Ultra, Galaxy S25+ e Galaxy S25, con vari tagli di memoria - conclude il Vice President Mobile eXperience division di Samsung Electronics Italia - da 128Gb fino 1Tb, tutti con 12Gb di Ram”.
Roma, 22 gen. (Adnkronos) - "Quale è la visione del governo Meloni di fronti ai cambiamenti climatici? E' semplice, basta fare così". Lo dice Elly Schlein tappandosi gli occhi all'evento 'Chi non si ferma é perduto' sui cambiamenti climatici, organizzato dai senatori Pd in collaborazione con Deputati Pd e Fondazione Demo, alla Sala Koch al Senato. "Come facevamo da bambini, quando c'era qualcosa che ci faceva paura. Ma il prezzo della non conversione, del non affrontare i cambiamenti climatici è molto più costoso che farlo".
"Quanta competitività perdono le aziende italiane rispetto" ad altri Paesi dove si investe in rinnovabili? Ma "il governo non se ne occupa. Questi sono invece gli obiettivi che ci stiamo dando in vista della Cop 30" in Brasile.
Roma, 22 gen. (Adnkronos) - "La Lega di Matteo Salvini non perde tempo e scavalca a destra Giorgia Meloni, sempre più legata all'internazionale nera, annunciando la decisione di aprire il dibattito per dire stop all'adesione dell'Italia dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Questa posizione, ispirata all'analogo passo compiuto ieri da Donald Trump, rappresenterebbe un grave segnale di isolamento dell'Italia a livello internazionale e dai principali organismi impegnati nella tutela della salute globale". Così Angelo Bonelli co-portavoce di Europa Verde e parlamentare di Avs.
"L'Oms non è solo un'istituzione scientifica di riferimento, ma un baluardo nella lotta contro pandemie, malattie croniche e disuguaglianze sanitarie in Africa e nei Paesi più poveri. Quando, a metà del XIX secolo, la peste, il colera e la febbre gialla hanno scatenato ondate mortali in un mondo appena industrializzato e interconnesso, l’adozione di un approccio globale alla salute è diventata un imperativo. Medici, scienziati, presidenti e primi ministri convocarono con urgenza la Conferenza Sanitaria Internazionale di Parigi nel 1851, un precursore di quella che oggi è la più grande del suo genere: l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nota come Oms. In mezzo alle crisi, ai conflitti, alla continua minaccia di epidemie e ai cambiamenti climatici, l’Oms ha reagito: dalle guerre a Gaza, in Sudan e in Ucraina fino a garantire l’arrivo di vaccini e forniture mediche salvavita in aree remote o pericolose, svolgendo un ruolo fondamentale di indirizzo nel rispondere all'emergenza Covid-19".
"La Lega dimostra ancora una volta un approccio irresponsabile, che antepone logiche ideologiche e sovraniste al benessere dei cittadini. Interrompere la nostra adesione all'Oms significa rinunciare a strumenti essenziali di coordinamento globale, scambio di conoscenze e accesso a risorse indispensabili per affrontare emergenze sanitarie. Andrebbero ignorati: ma siccome governano il Paese è bene sapere cosa pensano di questa folle proposta il Ministro della salute Schillaci, la premier Giorgia Meloni e la maggioranza di destra che sostiene il suo governo" conclude Bonelli.
Roma, 22 gen. (Adnkronos) - L'Istituto per il Credito Sportivo e Culturale ('Icsc') torna per la seconda volta sul mercato delle emissioni Esg portando a termine con straordinario successo il collocamento di un prestito obbligazionario Social unsecured senior preferred dedicato al supporto di investimenti ad elevato impatto nei settori Sport e Cultura, riservato agli investitori istituzionali.
L’operazione ha registrato ordini complessivi per circa 2 miliardi di euro, pari a oltre 6 volte l’offerta iniziale. L’emissione ha visto la partecipazione di un’ampia platea di sottoscrittori nazionali ed esteri per il 45%, in particolare Germania/Austria (24%), a dimostrazione del crescente interesse degli investitori per il settore delle infrastrutture sociali in Italia.
Il prestito obbligazionario, con scadenza a cinque anni e cedola a tasso fisso annua del 3,50%, costituisce la prima emissione a valere sul programma Emtn (Euro Medium Term Note) da 1 miliardo di euro pubblicato il 19 dicembre 2024, la seconda per Icsc dopo l’emissione stand alone del 2022. Il rating del Social Bond è stimato in linea con quelli assegnati alla Banca dalle agenzie S&P e DBRS, rispettivamente pari a BBB- (Stable) e BBB (Positive).
I proventi dell’emissione saranno utilizzati per sostenere investimenti ad elevato impatto sociale nei settori Sport e Cultura, in linea con la missione dell’Istituto e gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
“L’emissione del nuovo Social Bond riflette il crescente impegno di Icsc sul fronte della finanza sostenibile, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo dei settori Sport e Cultura. La straordinaria domanda da parte degli investitori istituzionali conferma la fiducia dei mercati nei confronti di Icsc, riconoscendone la consolidata capacità di mobilitare capitali a lungo termine secondo principi di sostenibilità, responsabilità e inclusione sociale, equità intergenerazionale. Lo Sport e la Cultura rappresentano in misura crescente asset class in grado di generare significative opportunità di investimento a impatto, creando valore economico e sociale, reale e duraturo per il Paese", ha commentato l’Amministratore Delegato Antonella Baldino.
Il bond, ammesso alla negoziazione presso il mercato regolamentato della Borsa del Lussemburgo, è stato emesso a valere sul Social Bond Framework di Icsc, pubblicato nel luglio 2022, che ha ottenuto una favorevole Second Party Opinion rilasciata da Iss Corporate Solutions, confermando l’allineamento agli Icma Principles e la robustezza degli Eligibility Criteria.
Imi-Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco Santander e Morgan Stanley hanno agito in qualità di Joint Lead Managers del collocamento.
Roma, 22 gen. (Adnkronos) - "Mi ha molto colpito la fila di multimiliardari" all'Inauguration Day. "E' un'idea di società opposta alla nostra, una società in cui sono i ricchi a scrivere le leggi per tutti gli altri e a scegliere i giudici che le facciano rispettare. E anche da queste parti non ce la passiamo troppo bene". Lo dice Elly Schlein all'evento 'Chi non si ferma é perduto' sui cambiamenti climatici, organizzato dai senatori Pd in collaborazione con Deputati Pd e Fondazione Demo, alla Sala Koch al Senato.
Roma, 22 gen. (Adnkronos) - "La politica sta facendo abbastanza sul cambiamento climatico? No. E noi come prima forza di opposizione del Paese abbiamo una responsabilità di un governo che nega l'emergenza e ci riporta indietro. Mentre occorre rendere transizione ecologica conveniente ma le politiche di questo Paese non hanno mai accompagnato questa innovazione". Lo dice Elly Schlein all'evento 'Chi non si ferma é perduto' sui cambiamenti climatici, organizzato dai senatori Pd in collaborazione con Deputati Pd e Fondazione Demo, alla Sala Koch al Senato.
"Troppe esitazioni e ritardi. Confidiamo nella leadership di Lula che ha organizzato la prossima Cop a Belem, nel cuore dell'Amazzonia" dopo "l'esito insoddisfacente della Cop 20 a Baku. Dobbiamo evitare che tra le tante ricadute nefaste dell'elezione di Trump ci sia un massiccio disimpegno degli Stati Uniti" nelle politiche per il clima. "Abbiamo sentito il suo discorso di insediamento grondante di slogan della campagna elettorale. Il pianeta non si può permettere 5 anni di Trump con queste premesse. E' vero è stato democraticamente eletto, ma c'è chi non ha potuto votare: la nuove generazioni che ci chiederanno il conto".
"A questo nuovo indirizzo dell'amministrazione americana è necessaria una risposta altrettanto forte dell'Europa, è necessario un protagonismo dell'Ue ma non è l'aria che tira a Bruxelles e questo come Pd ci preoccupa moltissimo".