Una frode da oltre 143 milioni di euro sui contributi pubblici. È la maxi truffa nel settore delle energie rinnovabili scoperta dalla Guardia di Finanza di Pavia che ha portato a 11 misure cautelari (6 arresti domiciliari e 5 obblighi di firma) e oltre cinquanta perquisizioni in Trentino Alto Adige, Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Sardegna e Lazio. Ai domiciliari è finito anche Pietro Franco Tali, ex amministratore delegato di Saipem, ritenuto dagli inquirenti il “promotore” e “deus ex machina” del presunto raggiro sugli incentivi ambientali portato avanti dall’azienda Biolevano, di cui deteneva delle quote. Tali si era dimesso da ad nel 2010 dopo la notifica di un’informazione di garanzia alla società in un’indagine avviata dalla Procura di Milano per presunti reati di corruzione relativi a contratti in Algeria. Venne condannato in primo grado e a gennaio è stato assolto in appello.
Il manager aveva quote dell’azienda Biolevano, nel Pavese, che si occupa di lavorare gli scarti legnosi e le aveva cedute le quote a una società risultata a lui riconducibile. “Tali – scrive il gip – risulta in estrema sintesi l’amministratore di fatto” dell’azienda e se è “certo che lo stesso non ha alcun formale rapporto con la società né riveste alcun ufficiale incarico societario” è “indubbio, tuttavia, che l’analisi condotta dalla Guardia di Finanza” lo porti a individuarlo come il “maggiore azionista occulto” della società al centro delle indagini. Per occultare le sue quote, ad avviso degli investigatori, aveva costituito un trust con i suoi familiari. Il meccanismo utilizzato da Biolevano per accedere agli incentivi green – secondo l’accusa – era basato su falsa documentazione che attestava come gli scarti provenissero da una filiera ‘breve’ (entro 70 chilometri dall’impianto), che consentiva di ricevere il massimo dell’incentivo previsto dallo Stato. Ma in realtà, il materiale proveniva da altre Regioni.
Tutto è nato quando, nel 2011, per aderire al protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici e per rispettare gli impegni assunti dall’Italia a livello internazionale per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, sono stati introdotti specifici incentivi economici per l’uso di energia da fonti rinnovabili, tra cui, le biomasse legnose. La legge, però, subordina tale incentivo economico all’utilizzo di legname proveniente da un razionale e corretto sfruttamento dei boschi che assicuri di preservare il loro naturale ciclo vitale e, per tale motivo, impone rigide regole sulla provenienza e sulla tracciabilità delle biomasse bruciate. La nobile finalità di contribuire alla riduzione dell’emissione dei gas serra, pur preservando il patrimonio boschivo nazionale, tuttavia, non sembrava interessare i vertici della Biolevano che, invece, secondo l’accusa, erano proiettati ad accaparrarsi fraudolentemente gli ingenti incentivi statali.
Da quanto emerso, per ogni milione di euro di energia venduta, la Biolevano percepiva dal gestore dei servizi elettrici (Gse) oltre 3 milioni di euro di contributi, ovvero, il massimo degli incentivi possibili. Questo incentivo, come risulta dall’accordo siglato nel 2012 tra la Biolevano e il ministero delle Politiche Agricole e Forestali (Mipaf), era possibile solo perché l’azienda si era impegnata a utilizzare esclusivamente legname tracciato, certificato e proveniente da zone limitrofe all’impianto. Ma era un impegno solo sulla carta, poiché, sempre secondo la procura, attraverso una fitta rete di complici, i vertici dell’azienda acquistavano qualunque tipo di legname ovunque reperibile (a volte anche all’estero) purché al minor prezzo possibile. Assicuratasi la materia prima a un prezzo nettamente inferiore ai propri competitors (dal 30% al 50% in meno) per far risultare il legname di provenienza locale e tracciato ai vertici della Biolevano bastava falsificare le carte, cioè, falsificare i documenti di trasporto e le fatture.
La Finanza ritiene di aver dimostrato come la centrale elettrica, appena raggiunto il pieno regime di funzionamento, abbia sistematicamente ed illegalmente acquistato legname e biomasse non tracciate e ubicate ben oltre i 70 km di distanza previsti dalla normativa di settore, approvvigionandosi da fornitori non abilitati a certificare il prodotto, da aziende di trasformazione del legno non rientranti negli accordi quadro e da commercianti anche esteri. Sono centinaia i carichi attenzionati in fase di indagine i militari della Guardia di Finanza: i alcuni casi il presunto falso legname a km 0 proveniva dalla Svizzera e molti degli autisti di biomassa viaggiavano persino con due documenti di trasporto, uno vero con provenienza non incentivabile che veniva distrutto non appena il carico arrivava nei pressi dell’impianto e uno falso redatto ad hoc che veniva conservato agli atti per dimostrare agli ispettori del ministero che tutto era regolare. Per il procuratore di Pavia Mario Venditti e il pm Paolo Mazza, quella portata a termine dalla società Biolevano è “una truffa ai danni dei cittadini” in quanto sulle bollette è prevista una specifica voce riguardante le rinnovabili.
L’operazione vede impegnati più di 200 militari, con il supporto di elicotteri e di ‘cash dog’ della Guardia di Finanza ed è coordinata dal pm Paolo Mazza. Le Fiamme Gialle hanno eseguito perquisizioni, sequestri di rapporti bancari, quote societarie, veicoli, immobili di prestigio e terreni per oltre 140 milioni di euro nella disponibilità degli indagati. Nel dettaglio, il gip ha disposto il sequestro di 69 rapporti bancari, 22 quote societarie di altrettante società del gruppo del valore di circa 19 milioni di euro, 147 fra veicoli, immobili e terreni del valore di oltre 12 milioni di euro. Tra gli immobili, ci sono anche un prestigioso appartamento nel cuore di Milano, una villa di pregio con piscina vista mare a Portobello di Gallura (Sassari) e una villa in collina a Galbiate (Lecco) oltre all’intera centrale elettrica del valore di circa 70 milioni.