Condanne pesanti, fino a 16 anni di carcere, ma che vengono ridotte a 5 e per le quali chi è stato giudicato colpevole potrebbe non fare mai un giorno di carcere. A distanza di oltre sei anni c’è una prima sentenza per il disastro del Norman Atlantic, il traghetto andato a fuoco la notte del 28 dicembre 2014 mentre navigava tra Igoumenitsa e Ancona con 485 passeggeri e 55 membri d’equipaggio a bordo. Nell’incendio o tentando la fuga nel mare in burrasca morirono 31 persone (12 accertati, più 19 corpi mai ritrovati) e in 64 rimasero feriti. La sentenza è stata emessa da un tribunale greco del Pireo, di fronte al quale sono comparsi Georgios Katsanevakis e Jannis Vardinoyannis, ceo e manager di Anek Lines, la società che aveva noleggiato la nave dall’italiana Visemar, il ‘supercargo’ Pavlos Fantakis, due dipendenti con responsabilità di bordo (Chatziavramidis e Stergiotis) e sei membri dell’equipaggio. In cinque sono stati giudicati colpevoli, a vario titolo, per omicidio colposo, incendio e disturbo del trasporto marittimo con pericolo per persone e cose.
La sentenza – Katsanevakis e Vardinoyannis sono stati condannati a 16 anni di reclusione ciascuno, 14 anni è la pena stabilita in primo grado per Fantakis, mentre a Chatziavramidis e Stergiotis è stata inflitta una condanna a 6 anni e 5 anni e 2 mesi. I sei membri dell’equipaggio sono invece stati assolti. La sentenza potrebbe avere ripercussioni anche nel processo in corso in Italia, dove tutti i condannati in primo grado in Grecia sono imputati, insieme ad altri 25, di fronte al Tribunale di Bari. Qualora la sentenza greca dovesse diventare definitiva, infatti, verrà sollevato il principio del “ne bis in idem”. In ogni caso, le pene dei cinque sono solo “teoriche”. Tutte le condanne sono infatti ridotte ex lege a 5 anni, la pena massima che un condannato per reati colposi può scontare dopo l’ultima modifica del codice penale greco. Per l’avvocato Jacopo Giunta dello studio Ambrosio e Commodo, la sentenza “è molto importante in quanto stigmatizza pesantemente la condotta sconsiderata dei vertici di Anek e di conseguenza di Visemar che aveva un ruolo da protagonista nella gestione della sicurezza”. Per l’avvocatessa Giulia Oberto dello studio Bona Oliva e Associati, invece, il pronunciamento “porta alla sicura disapplicazione dei limiti ingiusti di cui alla Convenzione di Atene e quindi al risarcimento integrale, molto più alto, delle vittime secondo i criteri italiani”.
Cosa accadde quella notte sul Norman – La notte del disastro, mentre il Norman Atlantic si trovava al largo delle coste pugliesi e navigava nel mare in burrasca, si sviluppò un incendio, originato dal motore diesel di una cella frigo di un tir. Le norme di navigazione vietano di fornire ai camion refrigerati l’elettricità proveniente dai motori dei veicoli. Ma quel giorno, come accertato in fase d’indagine, le spine non erano sufficienti per tutti i camion imbarcati. Le fiamme, alimentate anche dalla struttura della nave, si svilupparono rapidamente arrivando ad avvolgere la nave. Le cattive condizioni meteo resero difficoltose le operazioni di soccorso, che durarono giorni e interessarono mezzi della Marina e dell’Aeronautica militare, nonché cargo che transitavano in zona e i rimorchiatori dell’impresa Barretta. Nelle ore successive all’incendio, a bordo scoppiò il caos e molti passeggeri hanno raccontato di scarsa organizzazione da parte dell’equipaggio.
“Evitano il carcere con 36mila euro” – “Le persone condannate in Grecia, in caso di conferma nei successivi gradi di giudizio, non sconteranno un solo giorno di carcere”, fa notare l’avvocato Massimiliano Gabrielli, che con i colleghi Alessandra Guarini e Cesare Bulgheroni, rappresenta numerose parti civili nel procedimento in Italia. “La legge penale greca prevede infatti che la pena possa essere totalmente convertita in una multa-sanzione economica dagli imputati”, spiega Gabrielli. Le pene – come riporta anche il portale greco Kathimerini – sono convertibili in 20 euro di multa per ogni giorno di reclusione per Katsanevakis e Vardinoyannis, 10 euro per Fantakis e 5 euro al giorno per Chatziavramidis e Stergiotis. Il calcolo è presto fatto: “Chi ha ricevuto una condanna a 16 anni, se la sentenza verrà confermata nei successivi gradi di giudizio, potrebbe evitare il carcere pagando 36.500 euro”, fa di conto Gabrielli. “Ci lamentiamo della legge penale italiana, ma un sistema di questo genere, per un avvocato delle vittime dei disastri, è sconvolgente – attacca Gabrielli – Non si tratta di giustizialismo, ma di fronte ad omicidi plurimi e la prova su una pratica aziendale votata alla massimizzazione dei profitti, convertire il carcere in una multa da 20 euro al giorno vuol dire negare ai familiari delle vittime una condanna anche solo morale. Non c’è pace senza giustizia”.
Il processo in Italia (col rischio prescrizione) – In Italia il processo è iniziato lo scorso 14 ottobre, a distanza di quasi sei anni dall’incendio. Sono 30 le persone imputate, insieme a due società, Visemar e Anek. I reati di cui devono rispondere, a vario titolo, sono di naufragio, omicidio colposo e lesioni colpose plurime e di numerose violazioni del Codice della navigazione. A sei marinai è contestato anche di aver abbandonato la nave prima che tutti i passeggeri fossero in salvo. Oltre al comandante del traghetto Argilio Giacomazzi, dovranno difendersi nel processo anche Carlo Visentini, rappresentante della società proprietaria della nave Visemar, i due rappresentanti legali della Anek Lines, società noleggiatrice, e 26 membri dell’equipaggio. Come spiegato da Ilfattoquotidiano.it nel dicembre 2018, quando venne chiesto il rinvio a giudizio, su molte delle contestazioni pende la scure della prescrizione. Rischiano di restare impuniti molti reati contravvenzionali, ovvero le norme legate alla sicurezza sul lavoro, alle procedure di navigazione ed emergenza, nonché di incendio e lesioni.
Le cause secondo la perizia – Sulle cause di quanto accaduto il 28 dicembre di sette anni fa si è celebrato un incidente probatorio, durato circa due anni, nel corso del quale sono stati effettuati numerosi accessi a bordo del relitto, ormeggiato nel porto di Bari dal febbraio 2015 al 12 luglio 2019 quando, ormai dissequestrato, è stato rimorchiato fino ad Aliaga e rottamato nei cantieri navali del porto turco. Le conclusioni, pubblicate in esclusiva da Fatto.it, parlavano di un “antincendio realizzato male e di parte dell’equipaggio impreparato”. Quella notte – secondo i periti Salvatore Carannante, Francesco Carpinteri, Bernardino Chiaia, Enzo Dalle Mese e Pasquale Del Sorbo – tra le concause della mancata estinzione dell’incendio ci fu anche al black out che mandò subito in tilt la nave e tre errori umani, tra cui l’apertura dell’antincendio sul ponte sbagliato – un sospetto che Ilfattoquotidiano.it aveva anticipato nel dicembre 2015 – e oltretutto tardivo, poiché avvenuto “da 10 a 15 minuti” il momento in cui divamparono le fiamme. Un lasso di tempo in cui, per come era stato concepito il Norman, “le simulazioni numeriche e i dati di letteratura” dimostrano che le “probabilità di contenimento con i sistemi presenti erano diventate praticamente nulle”.