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Polonia, la sentenza che vieta quasi totalmente l’aborto “verrà pubblicata in Gazzetta ufficiale”. Attesa una nuova ondata di proteste

La misura, di cui il governo annuncia l'entrata in vigore, era rimasta in stand-by a causa delle massicce proteste che avevano animato il Paese a ottobre. Ma "I dimostranti si stanno di nuovo organizzando in tutto il Paese", scrive Anna Blus di Amnesty International

La sentenza della Corte Costituzionale della Polonia che vieta l’aborto in caso di malformazione del feto “entrerà in vigore da oggi”, ha reso noto il governo in un annuncio. La misura è stata infatti pubblicata in Gazzetta ufficiale, dopo essere rimasta in stand-by a causa delle massicce proteste che avevano animato il Paese a ottobre. “I dimostranti”, scrive su Twitter Anna Blus, ricercatrice di Amnesty International, “si stanno di nuovo organizzando in tutto il Paese”.

Dall’entrata in vigore della legge, la pratica dell’aborto in Polonia sarà quasi totalmente vietata, ad eccezione dei casi di stupro, incesto o pericolo di vita per la madre. Pubblicata nel 1993, la legge polacca sull’interruzione di gravidanza era già tra le più restrittive di tutta Europa e ora, con la messa al bando dell’aborto in caso di malformazione del feto, le possibilità di praticarlo per le donne diventano minime. Come ha infatti spiegato Antonina Lewandowska, attivista polacca per la salute sessuale e riproduttiva e per i diritti umani: “Il 98% degli aborti legali effettuati in Polonia, fino a oggi, sono dovuti a malformazioni fetali. Già adesso, tra le 100mila e le 200mila donne sono costrette a ricorrere all’aborto clandestino o ad andare all’estero, in genere Repubblica Ceca, Germania, Slovacchia o Ucraina, per praticarlo”.

Il Tribunale costituzionale polacco, di cui l’Ue aveva già segnalato la violazione di indipendenza da parte dell’esecutivo, già il 22 ottobre aveva reso illegale l’interruzione di gravidanza in caso di malformazione del feto, ma il governo – guidato dal partito conservatore di destra Diritto e Giustizia (Pis) – non aveva pubblicato la sentenza in Gazzetta ufficiale a causa delle migliaia di persone scese in piazza contro la legge. Proteste di centinaia di migliaia di cittadini, nate inizialmente dai movimenti femministi, che tra ottobre e novembre coinvolsero anche organizzazioni per i diritti LGBT+, studenti, agricoltori, nonne, tassisti, conducenti di mezzi pubblici e gran parte della cosiddetta società civile, allargando il terreno a rivendicazioni più ampie.