I servizi studi di Camera e Senato, nel dossier sul documento, chiedono al governo di chiarire se intende realizzarli comunque, anche in caso di bocciatura da parte della Commissione (in quel caso servono coperture aggiuntive), o li ha inseriti solo per creare un “margine di sicurezza” ed è disposto a rinunciare a quelli che non verranno finanziati da Bruxelles
Il Recovery plan approvato a metà gennaio dal consiglio dei ministri contiene progetti per un valore di 210,9 miliardi, 14,4 in più rispetto ai 196,6 previsti per l’Italia nell’ambito della Recovery and resilience facility. Lo sottolineano i servizi studi di Camera e Senato nel dossier sul documento, rilevando che questa eccedenza viene spiegata dal governo con due considerazioni: la possibilità che una parte degli interventi sia finanziato da risorse private, generando un effetto leva che ridurrebbe l’impatto sui conti pubblici, e “l’opportunità di sottoporre al vaglio di ammissibilità della Commissione un portafoglio di progetti più ampio di quello finanziabile, per costituire un “margine di sicurezza” che garantisca il pieno utilizzo delle risorse europee anche nell’eventualità che alcuni dei progetti presentati non vengano approvati”. La spiegazione però non è considerata del tutto convincente.
Se infatti Bruxelles non reputasse ammissibili alcuni dei progetti per un importo pari a 14,4 miliardi, “andrebbe chiarito se l’eventuale esclusione di tali interventi implichi la rinuncia da parte del Governo alla loro realizzazione”. In tal caso il piano oggetto dell’esame parlamentare “presenterebbe un margine di indeterminazione, in quanto includerebbe una parte di opere che non verrebbero realizzate o la cui individuazione e realizzazione sarebbe rinviata a una fase successiva”. Se invece il governo intende realizzarle comunque, questo vorrebbe dire fare maggior deficit da compensare “reperendo fonti di finanziamento aggiuntive per 14,4 miliardi a carico delle prossime manovre”.
Nel secondo scenario, in cui tutti gli interventi sono approvati dalla Commissione, i soldi europei non bastano per realizzarli tutti. Quindi anche in questo caso il governo dovrebbe valutare “se rinunciare “spontaneamente” alla realizzazione di alcuni degli interventi” o invece “attivare tutte le opere del piano, in modo da avere maggiori opportunità di realizzare la spesa nei tempi previsti e ottenere conseguentemente le risorse europee” che verranno erogate solo ex post, in base agli stati di avanzamento dei progetti. In questo modo, “il rischio di mancato finanziamento europeo connesso agli eventuali ostacoli nella fase realizzativa delle opere risulterebbe più contenuto” ma si riproporrebbe la necessità, già evidenziata nello scenario precedente, di scegliere come finanziare, in deficit o con misure di finanza pubblica compensative, il margine di maggiori impieghi eccedente le risorse messe a disposizione dai programmi europei”.
E la necessità di reperire risorse aggiuntive si pone anche a fronte della decisione di incorporare nel Piano 21 miliardi di Fondi di sviluppo e coesione: “ove non dovesse essere effettuato tale reintegro, infatti, le somme del Piano di ripresa dovrebbero intendersi come sostitutive del FSC e non come integrative” e “la finalità della coesione territoriale, che è uno dei tre assi attorno ai quali i regolamenti Next generation Eu prevedono che si articolino gli interventi, non riceverebbe finanziamenti aggiuntivi dal RRF rispetto a quelli già previsti a legislazione vigente”. Su questo i tecnici ritengono necessario un chiarimento del governo.