Media & Regime

“A chi devo praticare un rapporto orale per lavorare in Rai?” – 2 la vendetta

Il mio intervento a Non è la l’Arena di Massimo Giletti ha creato scalpore. Miracoli della televisione e del talk show molto seguito… nel 2018 avevo pubblicato un articolo con la stessa frase che aveva ottenuto minor eco.

Quantomeno a questo punto il governo non può dire che non gli è stato detto.

La questione è semplice e credo che pochi possano contestare che vi sia un problema. Qualche anno fa emerse lo scandalo Vallettopoli, che rese evidente un mal costume stranoto, quello dei favori sessuali richiesti da funzionari televisivi e politici in cambio di lavoro.

Ma al di là del mercinomio sessuale credo sia evidente anche ai sassi che la Rai viene gestita in modo tale che il pubblico non ha voce se non nei dati fragili forniti dal sistema di rilevamento degli ascolti.

Chiaramente ci sono funzionari che sono grandi professionisti che danno spazio alla sperimentazione di nuove idee e nuovi talenti e altri che preferiscono seguire la loro passioni stilistiche (il che è legittimo) e altri che si sono creati baronie e sistemi di scambio che hanno lo scopo di favorire la loro carriera personali (e anche questo, anche se sgradevole, non lede nessuna legge) ci sono poi quelli che cercano di trarre utilità illegittime (che sian soldi, assunzioni di amici o giovani carni).

Ma al di là del mal costume, resta il problema che il maggior danno ai cittadini vien fatto quando una televisione di Stato non è aperta, cioè non ha provveduto a creare un percorso di accesso per attori, registi, autori, sceneggiatori eccetera.

E non mi si dirà, spero, che i talent ottemperano a questa necessità.

Il talent è un format certamente positivo perché offre ad alcune professionalità l’occasione di emergere, ma se sono un regista o un autore di documentari, o un attore, non ho certo modo di mostrare le mie capacità in 60 secondi di esibizione.

Quel che chiedo, ormai da anni, è che venga creato un percorso che permetta a chi ha prodotto video di successo sul web, di sperimentare la propria capacità essendo messo in condizione di produrre una piccola trasmissione, a basso costo, che verrà poi trasmessa sui canali secondari Rai. Se qui avrà successo, il gruppo che l’ha prodotta potrà avere un incarico per un programma trasmesso nelle ore notturne o al pomeriggio su Rai 3. Se anche qui funziona otterrà uno spazio in terza serata e così via fino ad arrivare alla prima serata.

Non dico che TUTTI i programmi Rai debbano essere prodotti in questo modo, sarebbe uno schiaffo alla professionalità di molti funzionari che fanno in modo eccellente il loro lavoro. Ma credo che a questo sistema di accesso si potrebbe dedicare almeno il 20% della programmazione. Così si svilupperebbe un vivaio di talenti con grande vantaggio per la cultura e per telespettatori e radioascoltatori.

E già che ci siamo vorrei parlare della situazione drammatica di chi fa spettacolo. Le attività di attori, cantanti, ballerini e degli altri lavoratori è azzerata causa Covid. Ma mi chiedo se finita l’epidemia vogliamo ritornare alla situazione passata.

Vorrei osservare che una parte dei teatri di Stato e di quelli gestiti dal potere locale sono gestiti in modo inaccettabile. Ci sono teatri che propongono stagioni di grande successo ma anche teatri che perdono un mare di soldi. Ogni anno la collettività paga decine di milioni di euro (mi farebbe piacere sapere quanti) per pareggiare i bilanci di questi teatri più o meno pubblici. Quindi, ogni cittadino oltre al canone Rai paga un canone invisibile teatrale. Ottimo dirai tu: finanziamo la cultura! Il teatro è un elemento essenziale per l’Italia!

Giusto. Ma anche qui vorrei un po’ di trasparenza in più e un sistema di validazione della qualità e dei costi. Se guardi la programmazione di questi teatri in perdita ti accorgi che gli attori che riempiono le sale spesso non vengono ingaggiati manco dipinti, mentre milioni di euro vanno a volte a mantenere autori, registi e attori che le sale non le riempiono anche se sono incensati da alcuni critici, che magari poi vengono premiati nelle manifestazioni organizzate dai teatri stessi o da loro emanazioni.

E mi stupisce che nei bilanci dei singoli spettacoli, visibili in rete grazie alla benemerita pubblicazione dei bilanci, vengano citate molte professionalità: consulente alla regia, consulente ai costumi, consulente alle scenografie, consulente a vattelappesca… Ho seguito la realizzazione di decine di spettacoli, e non solo della mia famiglia, e tutti questi consulenti non li ho mai visti. Se poi con questa pletora di geni riuscissero a riempire i teatri…

Ma al di là di questo tasto doloroso c’è la questione dell’accesso ai teatri di nuove idee e nuove compagnie. Anche qui non esistono percorsi possibili. E questo perché c’è una gestione dei teatri tale (spese generali, gran numero di addetti indispensabili, ecc.) che per una scuola che deve fare un saggio o per una compagnia che vuole esibirsi, non è neanche possibile affittare il teatro e recitare fuori dalla programmazione. L’affitto di una sera costa un botto! Ma non sarebbe meglio trovare una formula per affittare i teatri a basso costo quando non li si usa? Non sarebbe questo un modo per favorire nuovi talenti e nuove idee? Se vuoi campioni del calcio devi costruire campetti di calcio, se vuoi grandi teatranti deve aprire i teatri!

Infine: sono stato in Danimarca a lavorare nelle scuole. Lì lo Stato paga decine di compagnie e gli studenti vedono uno spettacolo teatrale al mese. Una distanza stellare rispetto a noi. Possiamo risparmiare un po’ di soldi destinati agli spettacoli d’élite e spenderli per portare il teatro nelle scuole?