L'ultimo monitoraggio della Fondazione segnala luci e ombre sull'andamento e la lotta alla pandemia: "Ben 350.548 dosi somministrate a 'personale non sanitario', una fascia non prevista dal Piano vaccinale. In tre Regioni a loro è andato oltre il 30% delle dosi. E' fondamentale che i vaccini disponibili siano utilizzati per proteggere chi lavora in prima linea con i pazienti e le persone più fragili", spiega il presidente Nino Cartabellotta
Riduzione di casi, ricoverati con sintomi e terapie intensive. Ma allo stesso tempo il “caos” sui vaccini con un “crollo” delle forniture nel primo trimestre e “diseguaglianze regionali”. L’ultimo monitoraggio della Fondazione Gimbe segnala luci e ombre sull’andamento e la lotta alla pandemia. Nella settimana tra il 20 e il 26 gennaio, il report segnala una riduzione dei nuovi casi, passati da 97.335 a 85.358. Scendono anche i casi attualmente positivi, con una riduzione da 535.524 a 482.417, i ricoverati con sintomi (21.355 contro i 22.699 della settimana precedente, -5,9%) e i pazienti assistiti in terapia intensiva (2.372 contro i 2.487, -4,6%). “Tutte le curve – afferma Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe – continuano questa settimana la loro lenta discesa, ancora grazie agli effetti del Decreto Natale, destinati tuttavia ad esaurirsi a breve”. Tuttavia, sottolinea il monitoraggio l’occupazione da parte di pazienti Covid nei reparti continua a superare in 5 Regioni la soglia del 40% in area medica e in 6 Regioni quella del 30% delle terapie intensive, con un dato medio nazionale che si assesta rispettivamente al 34% e al 28%.
Le note dolenti, ad avviso della Fondazione, arrivano però dalla campagna vaccinale. Per quanto riguarda le forniture, “al netto di ritardi di consegne, entro il 31 marzo 2021 il nostro Paese dovrebbe disporre di 16.557.000 dosi, di cui 8.749.000 da Pfizer-BioNTech e 1.346.000 da Moderna e 6.462.000 da AstraZeneca, anziché i 16.155.000 previsti dal Piano vaccinale. “Peraltro su AstraZeneca i conti non tornano visto che è stata annunciata una fornitura di 3,4 milioni di dosi”, sottolinea Gimbe. “Con queste disponibilità – puntualizza Cartabellotta – solo il 14% della popolazione (circa 8.278.000 di persone) potrà completare le due dosi del ciclo vaccinale, ma non prima della metà o addirittura della fine di aprile, ovviamente previa autorizzazione condizionata del vaccino di AstraZeneca che potrebbe essere soggetto a limitazioni per i soggetti di età maggiore di 55 anni con conseguente necessità di rivedere le priorità del piano vaccinale. Inoltre, occorrerà una notevole reattività della macchina organizzativa, visto che la maggior parte delle dosi non arriverà prima di metà febbraio”.
La Fondazione sottolinea anche che dalla sua analisi indipendente sui dati ufficiali si rilevano “ben 350.548 dosi somministrate a ‘personale non sanitario’, una fascia non prevista dal Piano vaccinale che per questa prima fase individua tre categorie prioritarie: operatori sanitari e sociosanitari (finora 67,1% dosi), personale ed ospiti delle Rsa (finora 9,7% dosi), quindi persone di età maggiore di 80 anni (finora 0,9% dosi)”. Il personale non sanitario, fa notare Gimbe, ha beneficiato dunque di “quasi un quarto delle dosi finora somministrate con enormi differenze regionali” che “in certi casi superano il 30%”. Nel dettaglio, spiega Gimbe, la Provincia Autonoma di Bolzano ha destinato a questa categoria il 34% delle dosi, la Liguria il 39% e la Lombardia il 51%. “Se da un lato una parte del personale non sanitario risulta essenziale per il funzionamento di ospedali ed altre strutture sanitarie – spiega Cartabellotta – dall’altro i numeri riportati dal Piano vaccinale per operatori sanitari e socio sanitari (1.404.037) corrispondono a tutti gli iscritti agli albi professionali, più gli operatori socio-sanitari: questo evidenzia una discrepanza tra numeri previsti dal Piano e le diverse policy vaccinali attuate dalle Regioni”.
In altre parole, aggiunge Gimbe, “se la categoria ‘operatori sanitari e socio sanitari’ deve includere tutto il personale che lavora negli ospedali a qualsiasi titolo – dato richiesto alle Regioni dal Commissario Arcuri lo scorso 17 novembre – le dosi previste dal Piano vaccinale non sono sufficienti perché rimangono esclusi tutti i professionisti sanitari che non lavorano presso strutture pubbliche”. In questa fase “molto critica” della pandemia – conclude Cartabellotta – “segnata da continue rimodulazioni al ribasso delle forniture vaccinali, minacciata delle nuove varianti del virus e da una verosimile risalita della curva epidemica una volta esauriti gli effetti della ‘stretta’ di Natale, è fondamentale che le poche dosi di vaccino disponibili siano utilizzate per proteggere chi lavora in prima linea con i pazienti e le persone più fragili, come previsto dal Piano vaccinale”. Un obiettivo che, ad un mese dall’avvio della campagna vaccinale, “è già stato parzialmente disatteso con inaccettabili diseguaglianze regionali, “agevolate” dall’assenza di un’anagrafe vaccinale nazionale”.