Società

Giornata della Memoria, le Pietre d’inciampo di Milano arrivano su instagram. Le storie dei deportati rilanciate dai testimonial, da Sala a Mahmood

È il progetto Instagram History, nato grazie alla collaborazione tra il Comitato Pietre d’Inciampo Milano, Imille Agency e Ctrl magazine, che ha il patrocinio del Comune di Milano. L'account @milanopietredinciampo riporta in versione digitale il contenuto dei celebri sampietrini in ottone

L’architetto Stefano Boeri ricorda Gian Luigi Banfi, laureato a 21 anni al Politecnico di Milano e fondatore dello studio BBPRBelgiojoso, Perezzuti e Rogers, riferimento dell’architettura razionalista in Italia, antifascista, fondatore del Partito d’Azione, morto al campo di Gusen a 35 anni. Il sindaco Giuseppe Sala racconta la storia di Violetta Silvera: fu tra le 600 persone che furono deportate sullo stesso treno di Liliana Segre e ad Auschwitz morì a 20 anni. Mahmood sceglie Giuseppe Berna, partigiano della 108esima Brigata Garibaldi e operaio alla Ernesto Breda di Sesto San Giovanni: fu protagonista degli scioperi del 1943 e 1944, nel campo di Mauthausen (dove muore a 41 anni) lo chiamavano “il cantante triste” per la sua esperienza giovanile di corista alla Scala di Milano. Sono le storie raccontate dalle Pietre d’inciampo, che da quest’anno arrivano anche sui social – ricondivise da politici, esponenti della cultura e dello spettacolo, influencer – grazie al progetto Instagram History. Nato grazie alla collaborazione tra il Comitato Pietre d’Inciampo Milano, Imille Agency e Ctrl magazine, ha il patrocinio del Comune di Milano. “L’idea, che abbiamo realizzato pro bono, ha preso corpo l’estate scorsa – spiega Paolo Pascolo, ceo di Imille – ed è stata lanciata dai nostri colleghi Marta Nava e Giovanni Nava. Instagram sta diventando il diario dei ricordi e lo consultiamo sempre più spesso. Ci è sembrato, quindi, il luogo adatto dove trasferire il messaggio delle pietre d’inciampo, in modo da raggiungere anche i più giovani”.

La pagina all’account @milanopietredinciampo riporta così in versione digitale il contenuto dei celebri sampietrini in ottone inventati dall’artista tedesco Gunter Demnig. Ogni post una pietra, ogni pietra una persona: nome, cognome, anno e data di nascita, luogo e anno di cattura (se conosciuti), deportazione e morte. “E poi abbiamo deciso di raccontare qualcosa in più sulla storia di queste vittime. Cosa facevano per vivere, com’era la loro famiglia, le loro passioni. Se ne sono occupati gli studenti di alcuni licei milanesi. A ognuno di loro è stato affidato un profilo”, prosegue Pascolo. In tutto 121, come il (prossimo) numero totale delle pietre disposte a Milano. Ogni anno ne vengono installate circa una trentina, nel 2021 il numero crescerà di 31.

Gunter Demnig le creò nel 1990 chiamandole “Stolpersteine” in risposta ad alcuni episodi di negazionismo avvenuti in Germania. Le pose davanti alle abitazioni delle vittime delle persecuzioni naziste come un monito che ricordasse la veridicità delle vicende subite. Ne è nato quello che viene definito il più grande monumento diffuso d’Europa, con in totale oltre 80mila unità (numero sempre in crescita). “Negli anni Novanta – prosegue Pascolo – era fondamentale rispondere ai casi di revisionismo con oggetti fisici, che dimostrassero l’assurdità del negare. Ora il digitale ha preso sempre più spazio e può essere un’occasione per amplificare e potenziare questo tema. Ecco perché è stato chiesto agli influencer di condividere sui propri social una pietra d’inciampo a testa. Questo è il punto: far ‘inciampare’ gli utenti sulle pietre anche a livello virtuale, fermando questi contenuti fra i tanti di Instagram”.

“Il ricordo più bello che ho di tutto il progetto è stato il mio cambio di prospettiva”, racconta Marco Steiner, presidente del Comitato Pietre d’Inciampo Milano. “Non ero convinto all’inizio, poi ho capito il valore di questa iniziativa. Noi ci occupiamo di tutte le deportazioni che sono avvenute in città, in prevalenza per motivi razziali e politici. Lo facciamo anche per questioni di storia personale. Molti di noi sono figli di sopravvissuti, di vittime. A maggior ragione, è fondamentale cercare di raggiungere anche chi rischia di restare distante da queste storie. Vedere i giovani coinvolti così tanto mi ha fatto sentire bene”.