Li ha snobbati per mesi, ora scopre che c’è la fila per utilizzarli. L’Aifa fa sapere di aver prorogato di 15 giorni il “bando per lo studio sugli anticorpi monoclonali”, i farmaci che abbattono la carica del virus nella fase iniziale dell’infezione e possono anche garantire un’immunità limitata nel tempo. Era stato emanato il 15 gennaio su impulso del presidente Giorgio Palù, sembrava la svolta dopo mesi di incomprensibile inerzia. La scadenza per la call era fissata l’1 febbraio ed è stata prorogata fino al 15 febbraio. Perché? Stando alla comunicazione dell’Agenzia “per le molte richieste arrivate da diversi ricercatori di avere più tempo per costruire e presentare la loro proposta di studio”. Tra i candidati è emerso finora il San Martino di Genova, dove il direttore Matteo Bassetti, ha annunciato di aver fatto domanda all’Aifa.
Il bando ha lo scopo di “verificare se gli anticorpi monoclonali possono rappresentare una reale opzione terapeutica nella prevenzione della progressione del COVID-19 nei pazienti in fase precoce di malattia”. Riguarda sia il Regeneron che il Bamlanivimab della Eli Lilly, proprio quello che viene prodotto a Latina ma finisce negli Usa, in Canada, Israele, Ungheria e (da lunedì) anche alla Germania ma non in Italia dove pure viene prodotto, perché l’Aifa non ne ha autorizzato l’uso in emergenza e a ottobre ha anche respinto al mittente la proposta di un trial clinico pragmatico con 10mila dosi gratuite, come ha rivelato il Fatto. Fiale che ora lo Stato dovrà comprare, tramite la struttura commissariale di Arcuri, per accertarne l’efficacia nonostante il farmaco sia impiegato da mesi con successo in altri Paesi e gli ultimi studi abbiano confermato una capacità di riduzione delle ospedalizzazioni dell’80% e del 70% del rischio di morte.
La notizia della proroga non è un dettaglio tecnico-burocratico. Riporta sotto i riflettori le scelte di salute pubblica operate per mesi dall’Agenzia e dallo stesso ministero della Salute: l’Italia sta investendo sulla strada autarchica del “monoclonale italiano”, così come per i vaccini con l’investimento su Reithera, che è in via di sviluppo ma lontano dalla produzione. Nel frattempo, nonostante i bollettini con morti e malati, ha ignorato i farmaci autorizzati già in commercio che potevano salvare migliaia di vite. Oltre al razionale scientifico, questa storia sembra aver perso la variabile del tempo, quasi non fossimo in emergenza da quasi un anno con due milioni e mezzo di casi confermati e 85mila morti. A leggere il bando, infatti, lo studio potrà durare fino a 12 mesi. Che significa un anno da che verrà selezionato il centro candidato a sperimentare i monoclonali, stilato il protocollo, arruolati i soggetti, analizzati i dati, approvati i risultati dal comitato etico e così via. Può permetterselo l’Italia con 500 morti al giorno?
“Non mi sembra questo il momento di perdere del tempo per una procedura sicuramente più lunga, quando Germania, Stati Uniti e Canada li hanno già: Aifa approvi i monoclonali già in commercio” è arrivato a dire lo stesso consulente del Ministro della Salute Walter Ricciardi, ordinario di igiene e medicina preventiva all’Università Cattolica del Sacro Cuore. “Canada, Stati uniti e Germania hanno già acquistato il prodotto e l’Italia, che ne avrebbe molto bisogno con 500 morti al giorno, no. E’ competenza dell’Aifa procedere velocemente ma stiamo perdendo tempo con una call che l’agenzia ha avviato per fare una sperimentazione sui monoclonali. Con tutti i morti che abbiamo ogni giorno, sarebbe meglio utilizzare quelli già in commercio. Un anticorpo monoclonale, se lo somministri in forma precoce, ad esempio entro sei giorni dalla comparsa dell’infezione ai degenti delle Rsa o ai pazienti anziani, puoi salvarli”.