L’Arabia Saudita ha tutte le condizioni perché sia la culla di un “neo-rinascimento“. Chi lo dice? Il controverso principe Mohammed bin Salman, sospettato – tra le altre cose – dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi? Quasi. L’ottimistica e discutibile definizione, infatti, è stata formulata durante una conversazione proprio con l’erede al trono saudita da Matteo Renzi, che si dice pure “invidioso” del costo del lavoro a Riad. Proprio mentre il leader d’Italia viva entrava al Quirinale per le consultazioni col presidente della Repubblica – diventate necessarie dopo la crisi politica aperta dallo stesso senatore di Rignano – in Arabia è stata trasmesso l’intervento registrato dell’ex segretario del Pd al Future Investment Initiative (Fii), ribattezzato dai locali come la “Davos del deserto“. È per partecipare a questo appuntamento che Renzi era volato in Arabia Saudita proprio in piena crisi politica, rientrando in fretta e furia dopo le dimissioni di Giuseppe Conte. A pagare il volo di ritorno, come scrive Il Fatto Quotidiano, è stato lo stesso Future Investment Initiative Institute, una Fondazione saudita creata all’inizio del 2020 per decreto dal Re Salman bin Abd al-Aziz Al Saud, e nel quale Renzi siede nell’advisory board. Una nomina che gli garantisce “fino a 80mila dollari l’anno”. La vicenda era stata inizialmente raccontata dal quotidiano Domani.
Sarà per questo che dialogando col principe bin Salman Renzi usa toni esageratamente entusiastici. Rievocando come il Rinascimento sia nato a Firenze proprio dopo “la peste, una pandemia” (paragone poi usato anche dopo le consultazioni con Sergio Matttarella) l’ex primo cittadino del capoluogo toscano ha sostenuto che quando nel mondo si parla dell’Arabia Saudita se ne riconosce l’importante ruolo di “playmaker nella regione, ma molte persone ignorano i grandi sforzi nello sviluppo delle città, a partire da Riad” . L’entusiasmo del leader del piccolo partito di Italia viva per il Paese arabo è senza confini: commentando le cifre degli investimenti in programma in Arabia Saudita, superiori al trilione di dollari, Renzi ha parlato di “numeri incredibili paragonati al debito pubblico italiano”. Poi ha rivolto al principe ereditario attestati di stima: “Penso che con la tua leadership e quella di re Salman il regno possa svolgere un ruolo cruciale e per me come ex sindaco è molto bello comprendere il ruolo delle città in questo progetto”. Giova ricordare che Renzi ha fatto cadere il governo perché definisce Conte “un vulnus per la democrazia“.
Ma non solo. Siccome il principe saudita si è vantato del basso costo del lavoro a Riad, Renzi ridendo ha risposto che “come italiano sono molto invidioso” e ha indicato “le grandi possibilità per i giovani sauditi nel campo dell’istruzione” nei prossimi 10 anni. Ora non è vero che il costo del lavoro in Arabia Saudita sia poi così basso. Secondo i dati del locale minsitero del Lavoro del 2014 lo stipendio medio mensile di un saudita è di 1.300 dollari. Diverse le cifre quando si parla di lavoratori stranieri, presenti soprattutto nel settore privato, dove sono il 76%: un dipendente non arabo guadagna circa 250 dollari, un quinto di uno autoctono. Particolarmente discussa, sempre per i lavoratori stranieri il sistema della “kafala“, che dovrebbe essere allentato nei prossimi mesi: in Arabia i lavoratori stranieri, infatti, non possono cambiare azienda senza il permesso dello stesso datore di lavoro. Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty international in Arabia le “autorità hanno concesso a centinaia di migliaia di cittadini stranieri il diritto di lavorare e di accedere all’istruzione e all’assistenza sanitaria, ma hanno arrestato ed espulso centinaia di migliaia di lavoratori migranti irregolari, che erano a rischio di abusi e altre forme di sfruttamento da parte dei loro datori di lavoro e di tortura quando erano sotto la custodia dello stato”. Ancora sul costo del lavoro magnificato da Renzi: a Riad le donne guadagnano 56% in meno dei maschi.
Insomma il Paese che tanto piace al leader d’Italia viva non è esattamente questa culla del Rinascimento. E sempre Amnesty a spiegarlo. In Arabia “le autorità hanno intensificato la repressione dei diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione. Hanno vessato, detenuto arbitrariamente e perseguito penalmente decine di persone critiche nei confronti del governo, difensori dei diritti umani, compresi attivisti per i diritti delle donne, membri della minoranza sciita e familiari di attivisti. Sono proseguiti i processi davanti a un tribunale antiterrorismo contro attivisti sciiti ed esponenti religiosi, a causa del loro dissenso”. E ancora: “Le autorità hanno applicato in maniera estensiva la pena di morte, effettuando decine di esecuzioni per una vasta gamma di reati, anche in materia di droga. Alcune persone, in maggioranza membri della minoranza sciita del paese, sono state messe a morte al termine di procedimenti gravemente iniqui”. Sui diritti delle donne, “sono state introdotte riforme di ampia portata al sistema repressivo del tutoraggio maschile, che hanno tra l’altro concesso alle donne di ottenere il passaporto, viaggiare senza il permesso di un tutore maschile e assumere il ruolo di capofamiglia; tuttavia, le donne hanno continuato a subire sistematiche discriminazioni nella legge e nella prassi in altre sfere della vita e a non essere adeguatamente protette dalla violenza sessuale e di altro tipo”.
Quando Amnesty si riferisce alle autorità arabe, chiaramente, si riferisce alla famiglia reale. Compreso il principe bin Salman, l’intervistatore di Renzi. Formalmente è il principe ereditario della dinastia degli al-Saud, colui che salirà definitivamente al trono dopo l’addio di re Salman. Nei fatti, è già dal 2017 il deus ex machina della monarchia di Riyad. La faccia giovane e apparentemente innovativa del regime che in questi anni ha inaugurato quella presentata come una nuova era della dinastia al-Saud, cercando di toglierle di dosso quella patina di oscurantismo che per decenni ha avvolto l’immagine della monarchia legata all’integralismo wahhabita. Un ‘nuovo rinascimento’ per il suo Paese lo aveva teorizzato già anni fa con ‘Vision 2030’: è proprio questo enorme progetto ad averlo spinto velocemente ai vertici della petromonarchia saudita. Una serie di riforme per ridurre la dipendenza dal petrolio, diversificare la sua economia e sviluppare settori come sanità, istruzione, infrastrutture e turismo, senza dimenticare l’abbandono di alcune rigide leggi che ancora oggi limitano i diritti umani nel Paese, in particolar modo quelli delle donne.
Un’operazione di facciata, dicono i critici, per rendere la monarchia ‘presentabile‘ agli occhi dell’opinione pubblica internazionale. Strategia che ha ottenuto i risultati sperati anche grazie alla stretta amicizia con Jared Kushner, genero e consigliere dell’ex presidente Donald Trump, con il quale ha stretto un’alleanza sempre più solida nel corso degli anni, diventando il principale partner strategico nell’area, insieme a Israele, e concludendo anche un accordo commerciale per l’acquisto di armamenti da 110 miliardi di dollari. Accordo raggiunto anche con l’Italia, per poco più di 400 milioni, quando proprio sotto il governo Renzi Riad poté acquistare circa 20mila bombe prodotte dallo stabilimento Rwm di Domusnovas, in Sardegna.
Poi ci sono i lati oscuri. Uno su tutti, la guerra spregiudicata nei confronti degli oppositori alla sua linea, sia all’esterno che all’interno della casa reale. È infatti stato accusato di essere la mente dietro all’omicidio di Jamal Khashoggi, il giornalista sparito, ucciso e, si presume, fatto a pezzi all’interno dell’ambasciata del suo Paese a Istanbul. Per quell’omicidio sono stati condannati alcuni alti funzionari a lui vicini. Ma in molti sostengono che il filo che collega l’omicidio del reporter alla monarchia saudita si estenda fino a toccare il principe ereditario. Un uomo che non ha avuto pietà nemmeno per i propri familiari: nel marzo scorso, infatti, sono stati arrestati con l’accusa di “tentato golpe” il principe Ahmed bin Abdulaziz, il fratello minore del re Salman, Mohammed bin Nayef, nipote del re ed ex ministro dell’Interno, e Nawaf bin Nayef, altro nipote del re.