Un testo chiaro, dice la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, in un cui la presunta clausola “best reasonable efforts” era riferita alla fase di sviluppo del candidato vaccino Oxford-Astrazeneca. Pure con molti allegati omissati è stato pubblicato il contratto tra la multinazionale angolo svedese e l’Unione europea protagonisti di un scontro che si protrae dai giorni a causa dell’annuncio del taglio delle forniture. E sono state smentite di fatto le dichiarazioni dei vertici dell’azienda.
L’ad, Pascal Soriot, aveva parlato di un problema in uno degli stabilimenti, che l’altro ieri è stato ispezionato, e che il contratto con il Regno Unito, travolto dalla variante inglese, era stato firmato tre mesi prima. Londra aveva firmato una prelazione il 21 maggio 2020 (30 + 70 milioni poi confermati il 23 novembre) e il contratto tra Ue e Astrazeneca perfezionato tra il 14 e il 28 agosto. Ebbene nel documento si legge che l’azienda “dichiara, garantisce e conviene” di “non essere soggetta ad alcun obbligo, contrattuale o di altra natura, nei confronti di alcuna persona o terza parte per quanto concerne le dosi iniziali per l’Europa o che confligga o sia incoerente in modo rilevante con le condizioni di questo contratto oppure che possano impedire il completo adempimento degli obblighi previsti da questo contratto”. Anche se le parti riguardanti prezzi e calendario delle consegne sono omissate questo passaggio elimina il dubbio sugli obblighi dell’azienda. Senza dimenticare che il top manager dichiarava, l’anno scorso, che sarebbero stati capaci di produrre un miliardo di dosi avendo 25 centri in tutto il mondo. Dichiarazione che facevano aumentare il valore delle azioni e della società.
Altro oggetto dello scontro, la produzione delle dosi nel Regno Unito: secondo l’azienda sarebbero state riservate a Londra, per la Ue invece il contratto prevedeva che vengano usate anche per rispettare gli impegni con l’Europa. Anche su questo punto il contratto non appare fraintendibile con AstraZeneca che “farà ogni sforzo ragionevole (‘best reasonable effort’) per produrre il vaccino” anti-Covid “nei siti manifatturieri localizzati all’interno dell’Ue (che, unicamente ai fini di questa sezione del contratto, include anche il Regno Unito) e potrà produrre il vaccino in stabilimenti non Ue, se del caso, per accelerare la fornitura del vaccino in Europa”. Quindi nel contratto erano compresi non solo gli stabilimenti Ue, ma anche extra europei. C’è una subordinata: “A patto che – si legge ancora – che AstraZeneca fornisca preavviso scritto di tali stabilimenti non Ue alla Commissione, che dovrà includere una spiegazione per la decisione di ricorrervi”. Se l’azienda “non sarà in grado di rispettare l’intenzione di produrre le dosi iniziali per l’Europa in base a questo accordo nell’Ue, la Commissione o gli Stati membri potranno presentare ad AstraZeneca Cmo (fornitori a contratto, ndr) all’interno dell’Ue in grado di produrre le dosi di vaccino”. E AstraZeneca “dovrà fare del suo meglio per accordarsi con tali Cmo per aumentare la capacità produttiva disponibile nell’Ue”. La mappa degli stabilimenti è nell’allegato A, pesantemente omissato: vi si menzionano siti in Francia e Belgio, Irlanda, Regno Unito, Italia e Germania. E allora vale la pena ricordare che per esempio il Serum Institute in India, prima che il vaccino fosse approvato dall’agenzia del farmaco nazionale, aveva prodotto per e con Astrazeneca 50 milioni di dosi. Da contratto da destinare in parte all’India e in parte ai paesi più poveri. Ebbene a sorpresa dopo aver annunciato un blocco dell’esportazione, il 4 gennaio, l’India ha successivamente cominciato a inviare 2 milioni in Brasile e un milione di Sudafrica (1 febbraio). Paesi questi ultimi che pagano ogni dose il doppio di quanto concordato tra Astrazeneca e Ue.
L’elenco degli stabilimenti produttivi che AstraZeneca si è impegnata ad utilizzare, contenuta nell’allegato A, omissato nei dettagli, non costituisce “un’opzione”, bensì “un preciso obbligo contrattuale” che l’azienda ha sottoscritto, sostiene un altro funzionario. In altri termini, come spiegato da fonti Ue l’altroieri, la compagnia britannica si è impegnata a produrre dosi di vaccino destinate all’Europa continentale anche in stabilimenti situati nel Regno Unito, che oggi è uno Stato terzo a tutti gli effetti, ma che ai fini contrattuali viene considerato parte dell’Ue, limitatamente all’ubicazione dei siti produttivi. Intanto la Commissione lancia un meccanismo di controllo all’export per inchiodare i produttori, sospettati di vendere le fiale europee all’esterno, nel Regno Unito e negli Usa. E se Bruxelles e le capitali troveranno anomalie, potranno decretare un blocco all’export per mantenere le dosi nell’Unione.
Sarà possibile per un Paese Ue “dire no” all’esportazione di vaccini, spiega un alto funzionario Ue, anche se il divieto non sarà “la norma”. Il meccanismo entrerà in vigore “a partire da domattina“. Sono esclusi i Paesi del vicinato meridionale ed orientale, nonché le esportazioni a fini umanitari. Per il vicepresidente esecutivo Valdis Dombrovskis, si tratta di una misura “limitata nel tempo, che copre solo i vaccini contro la Covid-19 che sono stati oggetto degli accordi di acquisto anticipato con l’Ue. Il fine è fornire maggiore chiarezza sulla produzione di vaccini nell’Ue e sulla loro esportazione. Questa trasparenza manca e in questo periodo è vitale”. La prima conseguenza del nuovo meccanismo è però la reintroduzione dei controlli al confine tra l’Irlanda del Nord e Dublino. Un’imposizione che, secondo Londra, violerebbe gli accordi post Brexit sullo status speciale dell’Ulster a tutela del confine aperto. La first minister locale di Belfast, Arlene Foster, ha definito il passo “incredibilmente aggressivo e ostile“. Toni duri anche da parte di Boris Johnson, che ha chiamato la presidente della commissione Ue Von der Leyen per esprimere “le sue gravi preoccupazioni sul potenziale impatto che i passi compiuti oggi dall’Ue sull’esportazione dei vaccini”, con l’imposizione unilaterale di controlli non previsti dalla Brexit ai confini dell’Ulster, “potrebbe avere”.
C’è poi un risvolto “molto amaro”, raccontato da due giornalisti britannici su Twitter la corrispondente da Bruxelles dell’Irish Time Naomi O’Leary e dal giornalista della Bbc Faisal Islam, nella vicenda del vaccino Oxford AstraZeneca. Come noto il vaccino è stato sviluppato in collaborazione con l’università di Oxford, anche perché AstraZeneca non è specializzata in questo tipo di produzioni. I ricercatori del prestigioso ateneo britannico avevano sottoscritto un impegno perché la licenza del nuovo preparato fosse non esclusiva (ossia qualsiasi casa farmaceutica avrebbe potuto avervi accesso) e libera da royailties, in sostanza gratuita. Ricordiamo che, come tutti gli altri, anche questo vaccino è stato sviluppato principalmente grazie al sostegno di fondi pubblici. In tutto sono arrivati circa 2 miliardi di euro, di cui 1,5 miliardi dai governi (di cui uno dagli Stati Uniti) e 336 milioni dall’Unione europea.
La linea dei ricercatori è stata però sconfessata con l’accordo di esclusiva siglato con Astrazenca. Dietro questa mossa ci sarebbe anche il governo britannico. Oxford avrebbe avuto diverse interlocuzioni con varie cause farmaceutiche che sono state però stoppate dal ministro della Sanità britannico Matt Hancock per ragioni di sicurezza nazionale e assicurarsi una linea di produzione all’interno del territorio nazionale. In sostanza il governo britannico avrebbe chiesto all’Università di Oxford di rinunciare al suo impegno iniziale di concedere licenze non esclusive a qualsiasi produttore interessato.